Parliamo soprattutto delle competenze abilitanti, essenziali per affrontare un mondo del lavoro dominato dal digitale e dalla continua rincorsa alle novità tecnologiche, imprescindibili per adattarsi ai frequenti cambiamenti. Siamo certi di che le nostre credenze in merito coincidano con quanto dice il mercato? Scopriamolo.
Secondo il Sistema Informativo Excelsior, che ha pubblicato un dossier del 2020 con uno studio promosso da Anpal e Unioncamere, le imprese hanno richiesto nell’anno precedente abilità digitali di base, quali l’utilizzo delle tecnologie internet e la capacità nella gestione di strumenti di comunicazione visiva e multimediale, a circa 2,8 milioni delle entrate programmate, pari al 60,4% del totale.
Emerge che, per oltre la metà dei nuovi ingressi nel mondo del lavoro, le imprese hanno dichiarato di ritenere necessario avere competenze matematiche (metodi o linguaggi). Sono inoltre 1,6 milioni le posizioni lavorative a cui è richiesta la capacità di gestire soluzioni innovative (pari al 36,2% di tutti gli ingressi), specie in ambito Big Data Analytics, robotica e tecnologie IoT.
Insomma, chi si affaccia nel mondo del lavoro dovrebbe sicuramente considerare una formazione nell’ambito tecnico-scientifico, con forte orientamento al digitale, e chi è già occupato non può non considerare di rivedere le proprie competenze in questo senso. E chi non le ha è tagliato dal mondo del lavoro? Ecco cosa ci ha riferito un esperto sul tema.
Abbiamo intervistato uno degli operatori che si occupano da anni di formazione aziendale e privata e che da pochissimo si è attivato anche verso i servizi connessi al lavoro, accreditandosi come Agenzia di Ricerca e Selezione presso ANPAL, per comprendere i trend del futuro più prossimo ed avere le idee più chiare sulla corsa alla necessità di mettere in evidenza l’acquisizione di competenze tecnologiche e digitali sul lavoro.
Come sta cambiando il mondo del lavoro?
Marco Catalani, CEO di Res Nova: ”Il mondo della formazione degli adulti, disoccupati, inoccupati o occupati è in fase di cambiamento da anni, così come lo è quello del mercato del lavoro. Alcuni lavori che esistevano fino a qualche anno fa non esistono più, altri sono emersi e, in parte, non hanno ancora un nome definito. Per molti altri, le modalità con cui vengono eseguiti sono più o meno radicalmente mutate, grazie all’avvento spinto delle tecnologie digitali, parzialmente anche incoraggiate da una serie di incentivi Pubblici verso le imprese, introdotti da qualche anno a questa parte.”
Insomma, ci conferma che anche dal vostro osservatorio privilegiato il mondo delle imprese è alla ricerca di persone con competenze in ambito digitale e con una robusta formazione tecnico-matematica?
M.C.: “Sicuramente in molti casi l’orientamento è questo, ma spesso ci si dimentica di un fattore di differenziazione: le competenze trasversali. E talvolta questo è il problema per cui c’è una insoddisfazione dell’azienda, che pensa di aver erroneamente selezionato e assunto un candidato sulla base delle sue capacità tecniche o per cui non si riesce a rendere più versatile lo staff già in forza, magari a causa di mutamenti di mercato e di scenario, cosa ormai a cui dobbiamo abituarci perché avviene ciclicamente in modo sempre più repentino.
Sia lato aziendale, con riferimento particolare alla gestione familiare delle PMI, senza voler generalizzare troppo, sia lato lavoratori, siamo un po’ fermi alla competenza certificata, il che va bene per iniziare, ma diventa obsoleta nell’arco di pochi anni o, talvolta, mesi.”
Come sta cambiando quindi il mondo della formazione secondo lei?
M.C.: “Purtroppo, a mio modesto parere siamo un po’ al palo: per quanto ci riguarda, specie in riferimento alle attività di formazione finanziate, per riqualificare lavoratori o per formare le persone che sono in cerca di lavoro o di cambiarlo. Il focus della formazione è incentrato sulle competenze tecniche e sui titoli.
Basti pensare che in Italia è stato creato un Atlante del lavoro, che ha la pretesa di categorizzare tutte le professioni esistenti e individuarne quindi, per unità di competenza, i relativi saperi e conoscenze: se un percorso formativo ha quelle caratteristiche, allora, in uscita, chi lo segue con successo potrà ottenerne il relativo titolo, perché si è creato parallelamente un sistema di enti privati che certificano le competenze secondo standard ben precisi.
Tutto questo va benissimo, ma capirà bene che non si può normare qualsiasi cosa: proprio come dimostra lo studio che ho citato poc’anzi, che solo un paio di anni fa presagiva la comparsa di professioni mai esistite prima.”
Dunque, le competenze tecniche non sono tutto?
M.C.: “Esattamente così. Se volessimo citare la celeberrima regola di Pareto, potremmo pensare che il 20% delle competenze può fare l’80% dei risultati di una persona in azienda, e questo vale soprattutto per ruoli manageriali o organizzativi, ma non solo. Le competenze trasversali vanno curate altrettanto con attenzione, se non maggiormente, rispetto a quelle tecniche definite dei vari regolamenti nazionali e regionali e che danno poi luogo a titoli e pezzi di carta spendibili, più o meno, nel mondo del lavoro. Le aziende sono fatte di persone, e queste devono necessariamente curare maggiormente le proprie competenze trasversali per poter acquisire con più velocità e metabolizzare nuove competenze di tipo “hard”.
Quale ritiene possa essere la ricetta migliore?
M.C.: “Come già ribadito, la cura delle competenze trasversali e la lungimiranza di poter vedere in un candidato che cerca lavoro o voglia cambiarlo la capacità di imparare a imparare, anche laddove non abbia esattamente le competenze tecniche richieste, ma soprattutto l’apporto che può dare su un posto di lavoro scandagliando meglio la sua anima “soft”, prima ancora che quella “hard”. Il focus del nostro team di ricerca e selezione, per esempio, il cui metodo sarà disponibile anche su una piattaforma web di prossima apertura, è proprio questo: non collezioniamo CV scandagliando titoli e competenze tecniche da sottoporre all’azienda di turno che ci commissiona la Ricerca e Selezione, ma vogliamo parlare con i candidati, indagare a fondo con varie tecniche cosa possono dare, farci un’idea del loro Valore e di quello che potrebbero portare in azienda, e magari solo dopo proporre un potenziamento, non tanto l’ennesimo corso che dà luogo a ulteriori titoli, ma un per-corso che possa consentire di liberare l’indole del candidato, orientandolo verso il meglio per lui e per l’azienda, affinché si parli di persone prima ancora che di lavoratori.”
Un tema molto attuale e di sicuro interesse, che necessita di ulteriori approfondimenti e che abbiamo trattato in questa intervista con uno degli operatori del settore della Ricerca e Selezione e della Formazione, la società Res Nova, che opera a livello locale nella Regione Lazio, e che certamente si pone in un’ottica sfidante e con un livello di servizio che si propone di essere innovativo rispetto alle modalità più classiche a cui siamo di solito abituati in questo ambito.
Ringraziamo per l’intervento in questa intervista Marco Catalani, con l’auspicio che il settore delle Risorse Umane in generale possa continuare a crescere, in un mondo ogni giorno sempre più legato alla tecnologia e alla spersonalizzazione delle attività, rimettendo al centro di tutto l’uomo e tutto il suo valore.