E’ indubbiamente complicato fare dei paragoni tra i vari Stati in quanto ciascuno di questi adotta un modello diverso. Sia in termini di suddivisione dei cicli scolastici, sia per quanto riguarda la loro durata e infine circa l’offerta formativa di ognuno. Oltre al fatto che esistono Istituti Pubblici e Privati, con differenti approcci e politiche didattiche, in qualche modo correlate anche alla loro stessa sopravvivenza economica.
Proviamo comunque a fare un bilancio sui sistemi educativi in Europa, per vedere anche come si colloca l’Italia.
L’educazione è uno dei temi chiave
L’educazione è un tema serio, anzi molto serio: il modo in cui è organizzata può influire notevolmente sulla qualità e preparazione dei giovani di ogni Paese e sulla loro vita futura, soprattutto quella lavorativa, ma non solo.
Esistono tuttavia degli standard statistici che tentano di organizzare in categorie più o meno omogenee i percorsi educativi e riescono in qualche modo a metterli a confronto: è il caso delle informazioni di Eurydice – la rete europea che analizza e coordina il funzionamento dei sistemi scolastici nazionali – che prende in considerazione le strutture della scuola dell’obbligo dei diversi paesi europei e cerca di individuare le caratteristiche di un sistema educativo efficace e, allo stesso tempo, inclusivo.
Un tema molto attuale, specie in questo momento storico, dopo la pandemia Covid19, il ricorso forzato alla DAD (Didattica a Distanza) e i soldi messi sul piatto con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che mette a disposizione 19 miliardi e mezzo di euro circa per il potenziamento dei servizi dell’istruzione, dagli asili nido fino all’università in Italia.
Secondo i report forniti da Eurydice un percorso scolastico è efficace non solo per la qualità della didattica, ma anche per la possibilità di rendere l’accesso a questa equo e inclusivo.
Su questi ultimi due parametri dubbi sembra non ce ne siano: la scuola Pubblica continua ad avere una fondamentale utilità per fare in modo che chiunque abbia la possibilità, oltre che l’obbligo, di frequentare una serie di cicli di formazione che a partire dall’infanzia e per tutta l’adolescenza, fino ad affacciarsi all’età adulta, gli consenta di avere le stesse opportunità a prescindere dal ceto sociale ed economico di provenienza.
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Circa l’efficacia invece si potrebbero nutrire una serie di dubbi. Innanzitutto sui report proposti dagli istituti di statistica di tutta Europa si snocciolano numeri riferiti alla percentuale di studenti che ottengono un diploma o una laurea, alle performance del sistema di istruzione, mettendo in risalto eventuali gap in determinate materie.
L’ultimo report di Euridyce ad esempio ci dice che nelle competenze in matematica l’Italia se la cava peggio che nella lettura, con oltre il 30% di studenti con scarsi risultati e all’undicesimo posto in Europa per divario.
Insomma che non siamo molto forti in matematica e in generale nelle cosiddette materie STEM (Science, technology, engineering, and mathematics) in Italia è un dato di fatto e forse non ci stupisce molto.
Ma qui siamo ad un livello della conoscenza di argomenti di studio, si sta parlando insomma di istruzione, cioè di quel processo di trasferimento di nozioni dal docente agli studenti o dai libri agli studenti di nozioni, da applicare poi magari a casi pratici (risoluzione di problemi, esercizi, etc.).
La domanda provocatoria però che vogliamo porre è: i sistemi educativi servono appunto a “educare” o a trasferire semplicemente nozioni agli studenti e alle studentesse? E soprattutto queste istruzioni e nozioni fornite e trasferite nella mente degli studenti che tipo di applicazione trovano effettivamente nella loro vita quando saranno adulti? Dipende. Forse dal tipo di lavoro che si troveranno a fare.
In effetti, per abituare gli studenti, almeno quelli della scuola secondaria superiore, al mondo del lavoro si è ben pensato di attivare percorsi di alternanza scuola-lavoro, che hanno poca utilità visto che si tratta di alcune decine di ore passate in azienda, non certo a lavorare visto che si tratta di studenti, per cui non se ne capisce l’utilità effettiva.
D’altro canto. le persone, da quando sono alunni o studenti, dovrebbero avere l’opportunità di fare qualcosa che gli interessi per avere ottimi risultati, e non è detto che costringerli ad ascoltare qualcuno (i docenti) che ogni giorno cerca di ripetere nozioni che a loro volta gli studenti dovranno essere bravi a ripetere qualche giorno dopo all’interrogazione, sia proprio la strada giusta.
Ogni uomo ha diritto di fare ciò che lo rende felice: gli antichi greci parlavano di “eudaimonia”, quando parlavano di felicità, che tradotto letteralmente significa qualcosa come “il bene dell’anima”. Ecco la ricerca del bene del proprio spirito dovrebbe animare l’interesse degli studenti e per questo servono sicuramente docenti competenti.
Docenti competenti cosa significa? I nostri sono tutti preparati: laureati, con un corso aggiuntivo di abilitazione all’insegnamento, selezionati tramite concorso pubblico, cosa vogliamo di meglio?
Certo la preparazione sulle nozioni è importante, bisogna sapere le cose che si andrà ad insegnare, ed inoltre per superare un concorso pubblico bisogna saper rispondere correttamente ai test che vengono somministrati per poter essere assunti. Poi si rimane 30 o 40 anni ad insegnare, magari la stessa materia a vita.
E’ probabile che sia questo il problema dei gap che riscontriamo nei nostri ragazzi: docenti preparati sulle nozioni, ma non preparati sul suscitare l’entusiasmo e la realizzazione vera di ciò che rende i loro studenti felici ed appassionati a ciò che stanno ascoltando.
Inoltre, si potrebbero nutrire dubbi sulla capacità della scuola di saper davvero “educare”. Secondo il vocabolario Treccani educazione è “il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque a persone in via di crescita o suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti culturali di un gruppo più o meno ampio della società”.
Tra le finalità dell’educazione l’istituto Treccani ci dice che: “sulla natura e le finalità proprie dell’educazione le opinioni divergono in ragione dei differenti orientamenti filosofici e culturali sottesi alla riflessione pedagogica. L’accento cade, di volta in volta, sui valori etici dell’educazione o sui contenuti del sapere da trasmettere e acquisire, sulla necessità di promuovere la formazione del soggetto, la sua autonomia e libertà ovvero di assicurare l’integrazione dell’individuo nella società tramite l’assimilazione di modelli e comportamenti che ne garantiscono la conservazione e lo sviluppo.”
Autonomia, libertà, integrazione nella società si ottengono attraverso la fornitura di strumenti che vanno aldilà delle mere nozioni da imparare.
Il mercato del lavoro cerca tecnici? Cerca persone che abbiano colmato i propri gap di conoscenza di determinate materie’ Si, ma non solo. Cerca soprattutto persone capaci di risolvere problemi, di relazionarsi con gli altri, che sanno comunicare ed ascoltare, che sanno imparare facendo in modo veloce e che abbiano caratteristiche di flessibilità e versatilità, che di certo non vengono date da una modalità di insegnamento incentrata sulla performance rispetto alle istruzioni fornite dal docente e dal libro di testo.
A cosa serve prendere 10 all’interrogazione di fisica quando poi lo studente non è in grado di misurarsi con la complessità e l’adattabilità richiesta oggi nel mondo del lavoro?
Sarebbe interessante una riflessione concreta sulla qualità dell’offerta formativa, che in futuro, ci auguriamo possa dare maggiore enfasi alle inclinazioni e alla felicità degli studenti, accompagnati da un corpo docente in grado di saper affascinare, stimolare, rendere partecipe, guidare.
I primi a essere soggetti a giudizio non dovrebbero essere gli studenti, ma i docenti e le scuole, che potranno funzionare bene solo se messe in competizione tra di loro, evitando l’appiattimento dell’offerta formativa, e in molti casi la mancata “educazione” in senso stretto, che ha trasformato la scuola degli ultimi decenni in un pagellificio dove conta solo il voto finale e dove tendenzialmente questo è pure quasi sempre positivo.
Infatti gli ultimi dati parlano chiaro sui promossi e bocciati nelle nostre scuole: Tra gli anni scolastici 2013/2014 e 2018/2019 negli istituti superiori i promossi sono cresciuti di circa 8 punti percentuali. E agli esami di terza media e di maturità vengono ammessi quasi tutti i candidati.
Nel 2019 i promossi nelle scuole superiori sono saliti al 73% del totale, facendo una media tra il 70,6% delle classi prime e il 75,6,% delle quarte. Nello stesso arco di tempo la percentuale di bocciati si è ridotta dal 9,8% al 7%. Diminuiti anche i giudizi sospesi con debito scolastico: erano il 25,1% nel 2013/2014, sono diventati il 20% nel 2018/2019. Tra questi il 93,3% a settembre è stato ammesso, mentre il 6,7% ha dovuto ripetere l’anno.
Voto finale
Insomma praticamente tutti promossi, poca meritocrazia, il che non ha molto a che fare con il termine “educazione”: a cosa serve studiare molto ed impegnarsi quando anche i compagni di classe meno “performanti” vengono comunque promossi? Cosa si dovranno aspettare gli studenti dopo la scuola dell’obbligo? E cosa la società da loro? Ai posteri l’ardua sentenza.