Oltre l’80% delle imprese, che rappresentano più del 90% del valore aggiunto, prevedono di trovarsi in una situazione di completa (41,3%) o parziale (39,5%) solidità entro la prima metà del 2022. Poco più del 3% si giudica invece gravemente a rischio.
Il 9,4% delle imprese ha aumentato il personale nella seconda metà del 2021 mentre un altro 12,1% sta assumendo. Ma tra queste quasi i due terzi segnalano difficoltà a reperire le competenze necessarie.
Per quasi un quarto delle imprese i fattori di rischio per la crescita sono l’indebolimento della domanda e gli ostacoli nell’acquisire gli input produttivi.
60,6%
delle imprese vuole privilegiare gli investimenti in capitale umano
il 49,2% intende investire sulla sostenibilità ambientale. | 17,5%
la quota di fatturato realizzato nel 2021 tramite diversi canali digitali
| 49,8%
le imprese che non hanno avuto bisogno di attivare strumenti di finanziamento
Era il 29,8% un anno prima. |
Tra il 16 novembre e il 17 dicembre 2021 è stata condotta la terza edizione della rilevazione speciale “Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19”, che aggiorna le informazioni raccolte nelle precedenti edizioni[i] misurando comportamenti e strategie delle imprese a quasi due anni dall’inizio della pandemia. Nonostante la ripresa produttiva, la crisi sanitaria continua a generare un clima di incertezza e necessità di veloci assestamenti nelle strategie e repentini cambiamenti nelle aspettative degli operatori.
In questo Report vengono diffuse tempestivamente evidenze statistiche di elevata qualità su come le nostre imprese stanno vivendo questa fase delicata. I dati qui presentati offrono un quadro dell’andamento economico, delle politiche del personale e di finanza aziendale messe in atto dalle imprese nella seconda metà del 2021, con attenzione alle dimensioni dello smart working e all’utilizzo di canali di vendita digitali. Vengono inoltre messe a fuoco le strategie e le criticità individuate dalle imprese fino a giugno 2022 oltre a informazioni su investimenti, piani di sviluppo e posizionamento sul mercato.
La rilevazione ha interessato un campione di 90.461 imprese con 3 e più addetti attive nell’industria, nel commercio e nei servizi, rappresentative di un universo di circa 970mila unità: corrispondono al 22,2% delle imprese italiane ma producono il 93,2% del valore aggiunto nazionale e impiegano il 75,2% degli addetti (13,1 milioni) e il 95,5% dei dipendenti. E’ quindi un segmento fondamentale del nostro sistema produttivo.
Tra le imprese oggetto di indagine sono 753 mila, il 77,6% del totale, le micro-imprese con 3-9 addetti in organico mentre le piccole (10-49 addetti) sono189mila (il 19,5%). Le medie imprese sono circa 24mila (50-249 addetti) e le grandi 4mila (250 addetti e oltre). Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 28,7% nel Nord-ovest e il 22,7% nel Nord-est), il 21,3% al Centro e il 27,3% nel Mezzogiorno. Il 69,9% opera nei servizi, di cui il 24% nel commercio, il 19,1% nell’industria in senso stretto e l’11,0% nelle costruzioni.
Nella rilevazione, il 90,9% delle imprese ha dichiarato di essere in piena attività e il 5,9% di essere parzialmente aperto, svolgendo l’attività in condizioni limitate in termini di spazi, orari e accesso della clientela. Il 3,1% ha invece dichiarato di essere chiuso: si tratta di circa 30 mila imprese, che pesano per il 2,1% dell’occupazione.
Di queste, 18mila prevedono di riaprire mentre 12mila (pari all’1,2% delle imprese e all’1,0% degli occupati) non prevedono una riapertura[ii]. Il dato è decisamente più contenuto rispetto a quello rilevato nella precedente edizione dell’indagine, quando le imprese chiuse erano più di 70mila (il 7,1% del totale). Le quote di imprese chiuse restano molto elevate nei servizi di alloggio (6mila, il 29,8% del settore) e in quelli sportivi, ricreativi e di divertimento (2mila pari al 26,6%). L’incidenza è significativa anche nel trasporto marittimo (9,9%) e nella ristorazione (8,5%).
Nel complesso le micro-imprese (3,7%) e le unità che operano nel Nord-est (4,0%) e nel Mezzogiorno (3,6%) presentano una incidenza di imprese chiuse superiore agli altri segmenti dimensionali e territoriali.
IMPRESE CON ALMENO 3 ADDETTI IN BASE ALLO STATO DI ATTIVITÀ DICHIARATO NEL QUESTIONARIO E AL PERIODO DI RILEVAZIONE DEI DATI
Tra il 23 ottobre e il 16 novembre 2020 | Tra il 16 novembre e il 17 dicembre 2021 | |||||||
IMPRESE | ADDETTI | IMPRESE | ADDETTI | |||||
Numero | % | Numero | % | Numero | % | Numero | % | |
Totalmente aperta | 702.847 | 68,9 | 9.375.283 | 72,9 | 882.314 | 90,9 | 11.920.675 | 90,9 |
Parzialmente aperta[iii] | 243.988 | 23,9 | 2.973.427 | 23,1 | 57.579 | 5,9 | 908.009 | 6,9 |
Chiusa ma prevede di riaprire | 55.460 | 5,4 | 402.505 | 3,1 | 18.496 | 1,9 | 146.729 | 1,1 |
Chiusa e non prevede di riaprire | 17.491 | 1,7 | 113.211 | 0,9 | 11.792 | 1,2 | 135.107 | 1,0 |
Totale | 1.019.786 | 100 | 12.864.426 | 100 | 970.181 | 100 | 13.110.521 | 100 |
Il recupero di fatturato più diffuso nell’industria
Nel valutare l’andamento del fatturato registrato tra giugno e ottobre 2021 rispetto agli stessi mesi del 2020 le imprese si dividono in tre gruppi quasi equivalenti per numerosità: il 34,2% dichiara una riduzione delle vendite, il 33,7% un andamento stabile e il 32,1% un aumento. Quest’ultimo gruppo rappresenta però in termini occupazionali il segmento più ampio (45,1% rispetto al 26,6% di imprese in perdita e al 28,4% con fatturato stabile) e contribuisce a produrre la metà del valore aggiunto nazionale (49,8% contro il 22,8% delle imprese con fatturato in contrazione e il 27,4% di quelle con risultati stabili).
L’industria in senso stretto e le costruzioni presentano una ripresa più diffusa: le imprese con un fatturato in aumento sono rispettivamente il 41,2% e il 37,3% mentre scendono al 30,1% nel commercio e al 28,1% negli altri servizi. In questi due segmenti del terziario sono anche più frequenti i casi di riduzione del fatturato, 37,4% e 36,5% a fronte del 29,8% dell’industria in senso stretto e al 25,2% delle costruzioni.
Nei servizi una maggiore incidenza di imprese con fatturato in calo si rileva nei settori delle trasmissioni radiofoniche e televisive (60,8%), case da gioco (58,1%), trasporto areo (55,0%), riparazione di computer e altri beni personali (49,8%), servizi postali e di corriere (46,7%), finanziari e assicurativi (46,1%) e nel comparto della ristorazione (44,2%).
Si confermano inoltre le criticità riscontrate nei primi periodi della pandemia per le agenzie di viaggio (39,3%), le attività sportive e di divertimento (38,9%), le attività artistiche (36,9%), il settore pubblicitario (36,6%), cinematografico e musicale (35,5%).
Nel settore industriale soltanto il comparto tessile (43,7%) e quello alimentare (38,2%) presentano una quota di imprese in perdita superiore alla media complessiva (34,2%) e all’insieme del settore (29,8%). Nell’industria si conferma la maggiore dinamicità delle imprese esportatrici: tra giugno e ottobre del 2021 il 51,8% di questo insieme fa registrare un aumento del fatturato, il 20,7% presenta una variazione stabile e solo il 27,6% segna un calo.
A livello territoriale, le imprese del Nord-est, che dichiarano un aumento di fatturato nel 36,4% dei casi, e quelle del Nord-ovest (34,5%) mostrano una maggiore capacità di recupero rispetto alle imprese del Mezzogiorno (27,7%) e del Centro (30,1%), dove si registra una quota più elevata di imprese in perdita (rispettivamente il 36,9% e il 37,9%), dovuta in parte alla maggiore incidenza del settore del commercio e dei servizi.
FIGURA 1. IMPRESE IN BASE ALL’ANDAMENTO DEL FATTURATO REGISTRATO A GIUGNO-OTTOBRE 2021 RISPETTO AGLI STESSI MESI DEL 2020. Valori percentuali
Maggiori capacità di dinamismo per le imprese multinazionali
La diffusione della ripresa è strettamente correlata alla dimensione aziendale. In particolare, le micro-imprese presentano un’incidenza delle unità con riduzione del fatturato (il 36,4%) pari al doppio di quella registrata dalle grandi (18,9%) mentre i casi in aumento (il 28,9% tra le micro-imprese) pesano circa la metà di quanto rappresentino tra le unità maggiori (il 52,7%). Positivo il risultato anche tra le piccole e le medie imprese (rispettivamente con il 42,0% e il 51,2% di casi in aumento rispetto al 27,1% e il 22,0% in diminuzione). La quota con un fatturato stabile si attesta intorno al 30% in tutti i segmenti, con valori compresi tra il 28,5% delle grandi e il 34,7% delle micro.
L’effetto dimensionale è particolarmente evidente nei settori che presentano minori segnali di ripresa. In particolare nei servizi non commerciali segnano risultati complessivamente sfavorevoli anche le piccole (10-49 addetti). Il prevalere di andamenti positivi del fatturato si estende alle micro-imprese soltanto nel comparto delle costruzioni.
La dimensione internazionale si conferma un fattore rilevante per la tenuta delle imprese e la ripresa risulta infatti più diffusa tra quelle che appartengono a gruppi multinazionali. Concentrando l’attenzione sulle unità con almeno 100 addetti, la quota di multinazionali italiane o estere che rilevano un aumento del fatturato nel periodo giugno-ottobre 2021 sale rispettivamente al 59,1% e al 56,4%, a fronte del 45,8% delle imprese appartenenti a gruppi domestici e al 41,7% delle imprese non appartenenti a gruppi (indipendenti).
Risulta particolarmente positiva la performance delle multinazionali con vertice in Italia che operano nel commercio e nell’industria in senso stretto, tra le quali oltre i due terzi dichiarano un aumento delle vendite (il 66,5% nel commercio e il 63,7% nell’industria in senso stretto).
FIGURA 2. IMPRESE CON ALMENO 100 ADDETTI IN BASE ALL’ANDAMENTO DEL FATTURATO REGISTRATO A GIUGNO- OTTOBRE 2021 E L’APPARTENENZA A GRUPPI. Valori percentuali
Cig in calo ma il ricorso è ancora forte nei settori più colpiti dalla crisi
L’indagine ha dedicato una specifica sezione alla gestione delle risorse umane da parte delle imprese, con particolare riferimento ai cambiamenti nell’utilizzo del personale (variazioni dell’occupazione e delle ore lavorate), alle nuove assunzioni e all’impiego del lavoro a distanza. Nell’interpretare i risultati occorre considerare che l’indagine è stata condotta a fine autunno, in una fase in cui la curva dei contagi era ancora contenuta e non erano state ancora annunciate nuove misure di contrasto all’epidemia potenzialmente rilevanti per le scelte delle imprese.
Nella seconda metà del 2021 il 16,0% delle imprese con più di 3 addetti ha fatto ricorso a misure quali la Cassa integrazione guadagni (Cig) o altre equivalenti quali il Fondo integrazione salariale (Fis). Come atteso, l’utilizzo di tali strumenti è risultato molto meno diffuso rispetto al 2020: nella fase di sospensione dell’attività produttiva durante il primo lockdown, ovvero a marzo 2020, oltre il 70% delle imprese vi aveva fatto ricorso e alla fine dell’anno l’incidenza risultava pari al 42%. Come nel 2020, anche a giugno 2021 sono state le imprese più grandi a utilizzare più frequentemente questo tipo di strumento (21%), contro il 17,3% delle medie, il 16,9% delle piccole (10-49 addetti) e il 15,7% delle micro-imprese.
A livello settoriale l’utilizzo della Cig è risultato più frequente nelle imprese degli altri servizi (17,6% delle imprese) e dell’industria in senso stretto (16,8%) e più contenuto in quelle del comparto delle costruzioni (9,0%). In particolare, la maggiore diffusione ha riguardato alcune attività economiche ancora penalizzate dalla crisi, quali le attività dei servizi di agenzie di viaggio, tour operator, servizi di prenotazione e attività connesse (74,6%), attività artistiche, sportive e di intrattenimento (33,9%) e, per quel che riguarda la manifattura, nelle unità dell’abbigliamento (42,9%) e delle calzature (44,2%).
Le imprese delle costruzioni e, in misura di poco inferiore, dell’industria in senso stretto, hanno inoltre mostrato una maggiore propensione all’aumento del personale a tempo determinato o indeterminato, rispettivamente il 12,2 e il 12,8%. Negli stessi comparti la quota di chi ha dichiarato di averlo ridotto è molto più bassa (5,8% nelle costruzioni e 6,5% nell’industria) mentre la riduzione delle ore lavorate ha riguardato appena il 3,7% delle imprese del settore edilizio.
La diffusione di politiche di aumento del personale è stata significativa in tutte le classi dimensionali di tali comparti ma è risultata maggiore tra le imprese di medie dimensioni (più del 20%). All’opposto, le scelte di ridimensionamento del personale e/o delle ore lavorate sono state decisamente più frequenti tra le imprese degli altri servizi. Quelle del commercio hanno presentato una propensione relativamente bassa sia all’aumento sia alla riduzione del personale.
FIGURA 3. Misure di gestione del personale delle imprese attive per macrosettore nel periodo giugno – dicembre 2021. Valori percentuali
Segnali positivi sulle assunzioni, difficoltà per le professionalità adeguate
Il 13,6% delle imprese che hanno dichiarato di non aver aumentato il personale dell’impresa (il 12,1% del totale delle imprese con almeno 3 addetti), ha poi affermato di essere, alla fine dello scorso anno, in fase di acquisizione di risorse. Anche in questo caso l’incidenza è risultata più elevata tra le imprese dell’industria in senso stretto e delle costruzioni (rispettivamente 17,0 e 17,3%), mentre ha interessato il 10,8% delle imprese del commercio e il 12,8% degli altri servizi. In particolare, oltre al comparto della costruzione di edifici ed ingegneria civile, si osserva una frequenza di assunzioni relativamente più elevata in settori come la chimica e farmaceutica, in quello della meccanica, nella produzione di software e la consulenza informatica.
Una quota assai significativa di imprese dell’industria e delle costruzioni, che hanno assunto personale a tempo determinato o indeterminato o hanno dichiarato di essere in fase di acquisizione di risorse umane, ha segnalato difficoltà a trovare le competenze necessarie: ciò riguarda più del 76% delle unità nel settore delle costruzioni e il 66,4% in quello dell’industria. Il problema, peraltro, tocca il 55,0% delle imprese del commercio e il 66,3% di quelle degli altri servizi. Nel complesso, le difficoltà nell’acquisizione di personale sono segnalate più frequentemente nelle unità di minore dimensione: rispettivamente, dal 63,9% e il 66,7% delle micro e piccole imprese, dal 58,2% delle medie e dal 50,1% delle grandi.
Tra i profili mancanti vengono indicati con più frequenza quelli relativi alla logistica e produzione, segnalati soprattutto da imprese di medie e grandi dimensioni. Anche i profili relativi alle funzioni tecnico-ingegneristiche di supporto alla produzione sono indicati soprattutto dalle medie e grandi imprese mentre tra le micro risultano relativamente più frequenti difficoltà nel reperire risorse nell’ambito dell’area organizzativo-gestionale e nelle vendite, marketing e comunicazione.
Infine, poco meno del 10% delle imprese ha dichiarato di aver registrato una quota di dimissioni maggiore a quella osservata nel periodo pre-pandemia, soprattutto tra le grandi imprese (23,0% tra le unità con più di 250 addetti). A livello settoriale un’incidenza comparativamente elevata di dimissioni si riscontra soprattutto nel trasporto aereo, nei servizi di agenzie di viaggio e tour operator e nei servizi dell’assistenza sociale.
FIGURA 4. Imprese che dichiarano di essere in fase di acquisizione di personale per classe di addetti e macrosettore. Valori percentuali
Smart working ancora diffuso nei servizi e nelle imprese più grandi
La diffusione delle modalità di smart working o telelavoro risulta in calo rispetto alla rilevazione effettuata nell’autunno precedente, che aveva colto una fase in cui il riacutizzarsi dell’emergenza sanitaria aveva determinato misure di contenimento e comportamenti sfavorevoli al lavoro in presenza.
La quota di imprese che segnalano l’utilizzo di modalità di lavoro a distanza è risultata del 6,6%, a fronte dell’11,3% registrato nella precedente indagine (oltre il 20% tra marzo e maggio 2020). Le differenze settoriali restano molto ampie e piuttosto stabili nel tempo. L’attività di lavoro a distanza è risultata più frequentemente utilizzata dalle imprese dei servizi: quasi un’impresa su dieci dichiara di farvi ricorso (14% a fine 2020). All’interno del comparto una quota elevata si rileva nei servizi di informazione e comunicazione (34,3%), attività professionali, scientifiche e tecniche (24,4%), istruzione (19,0%) e attività finanziarie e assicurative (17,4%).
Nell’industria, la quota di imprese che si avvalgono di tale forma di lavoro è risultata limitata (5,8%) e di gran lunga inferiore a quella osservata a fine 2020 (11,6%). Nel commercio e nelle costruzioni l’incidenza di imprese in smart working è scesa da circa il 7% di ottobre 2020 a meno del 4% nel 2021.
Nel complesso il ricorso a queste tipologie di lavoro, pur in calo in tutte le classi di addetti, è tanto più frequente con l’aumentare della dimensione d’impresa: dichiarano di utilizzare il lavoro a distanza il 4,4% delle micro-imprese e il 10,9% delle piccole mentre la quota raggiunge rispettivamente il 31,4% per le medie e il 61,6% per le grandi. La differenza si osserva in tutti i principali comparti: la quota di grandi imprese che dichiarano di avvalersi dello smart working è del 65% nell’industria e nelle costruzioni, a fronte del 50,8% nel commercio e del 61,9% negli altri servizi.
FIGURA 5. Imprese che fanno ricorso a lavoro a distanza (Smart working e telelavoro) per settore di attività economica. Anni 2020 e 2021 (periodo giugno – novembre), valori percentuali
Migliora la percezione sull’utilizzo del lavoro a distanza per l’attività dell’impresa
Nonostante lo smart working e il telelavoro siano stati utilizzati meno frequentemente nella seconda parte del 2021 rispetto al medesimo periodo del 2020, e pur essendoci ancora una parte cospicua (in media più di una su due) che non riporta effetti sull’attività, le imprese segnalano un miglioramento generalizzato per quanto riguarda gli effetti netti percepiti dell’utilizzo di tali forme di lavoro.
Ciò è vero, in particolare, per il benessere del personale che, grazie a un importante aumento rispetto a un anno prima, è diventata la dimensione con il saldo tra giudizi positivi e negativi maggiormente favorevole (pari a 42,5 punti percentuali a fronte di 22,8 punti nel 2020).
L’adozione di nuove tecnologie è l’altra dimensione con effetti prevalentemente positivi (il saldo delle frequenze è pari a +40,4), ma in questo caso i risultati sono molto simili a quelli del 2020 (+44,2). Un miglioramento dei giudizi si osserva anche riguardo alla produttività del lavoro, che registra ora un saldo positivo, e ai costi operativi, per i quali prevale l’effetto di contenimento.
Rimangono negativi, invece, gli effetti netti sull’efficienza nella gestione dei processi operativi (saldo di -10,2 punti percentuali) e quelli relativi all’interazione, collaborazione e comunicazione del personale
(-19,0) ma, anche per queste due variabili, emerge una situazione molto meno sfavorevole di quella di un anno prima. Infine, i giudizi sull’impatto dell’utilizzo del lavoro da remoto sugli investimenti in formazione del personale presentano un limitato saldo positivo (+7,5 punti percentuali) pressoché invariato nel tempo.
I giudizi relativi all’effetto del lavoro da remoto sul benessere del personale hanno segnato un significativo miglioramento rispetto a un anno prima in tutti i principali comparti produttivi. Anche riguardo all’impatto sull’adozione di nuove tecnologie emerge una tendenza favorevole nell’industria e nei servizi, particolarmente marcata per le unità del commercio. Per le imprese delle costruzioni, invece, l’effetto netto positivo dell’introduzione di nuove tecnologie risulta più contenuto di quanto osservato nel 2020.
Gli effetti del lavoro in remoto sulla produttività risultano in miglioramento in quasi tutti i macrosettori, con risultati particolarmente positivi nell’industria e nel commercio, con l’eccezione delle costruzioni. In quest’ultimo comparto il saldo tra le unità che segnalano un impatto favorevole e quelle che lo considerano sfavorevole è rimasto negativo.
FIGURA 6. Effetti del lavoro a distanza, Smart Working o telelavoro su alcuni aspetti dell’attività dell’impresa. Valori percentuali
Un segmento di imprese a rischio in un sistema tornato sostanzialmente solido
A fine 2021, e con riferimento al primo semestre del 2022, il 19,2% delle imprese (circa 184mila) si definisce a parziale o grave rischio operativo. Tale condizione riguarda il 10,5% dell’occupazione (poco meno di 1,4 milioni di addetti) e il 7,9% del valore aggiunto del sistema produttivo.
Il risultato segna un notevole miglioramento rispetto alla fine del 2020, quando più di un’impresa su tre manifestava criticità tali da comprometterne l’attività. Nel complesso, si considerano in una situazione di totale (41,3%) o parziale (39,5%) solidità più di otto imprese su dieci, rappresentative di quasi il 90% dell’occupazione e di una quota ancora superiore del valore aggiunto.
La condizione di solidità/rischio è caratterizzata da una spiccata componente dimensionale. Nelle imprese di medie e grandi dimensioni una totale o parziale solidità caratterizza oltre nove unità produttive su dieci, percentuale che si riduce a poco meno dell’80% nelle micro-imprese. Tuttavia, anche in quest’ultimo segmento, la quota di imprese a forte o parziale rischio è inferiore a quella dell’anno precedente: il 21,3% (poco meno di 160mila imprese, circa 695mila addetti), contro il 34,3% di fine 2020.
Un rischio operativo forte o parziale emerge anche per una quota non trascurabile di imprese medie e grandi (rispettivamente il 7,3% e il 5,4%): nell’insieme, queste occupano il 2,2% della forza lavoro e generano il 3,0% del valore aggiunto del sistema produttivo.
In tutti i settori, tranne il terziario non commerciale, la quota di imprese solide è di poco inferiore all’85% (con un’incidenza di oltre il 90% in termini di occupazione e di valore aggiunto). La condizione di rischio (forte o parziale) si associa a circa 30mila imprese dell’industria in senso stretto (il 15,9% del comparto), a poco più di 17mila nelle costruzioni (16,2%) e a circa 36mila attività commerciali (15,6%). Una maggiore fragilità caratterizza anche i comparti degli altri servizi (23,1%, poco più di 100mila).
In questo contesto, le più colpite sono le attività che hanno anche risentito di più delle misure di contenimento del contagio: si considera a rischio il 31,5% delle imprese dell’alloggio e ristorazione (47mila) e il 37,4% nella cultura e dell’intrattenimento (poco meno di 5mila).
Pur in un contesto di recupero di solidità del sistema produttivo, circa un terzo delle imprese (circa 2,5 milioni di addetti, il 17,8% del valore aggiunto) non prevede di risalire nel primo semestre del 2022 alla capacità produttiva del periodo pre-pandemia mentre meno di una su dieci (2,3 milioni di addetti, il 19,6% del valore aggiunto) prevede di superarla.
La tendenza alla stagnazione del potenziale produttivo è particolarmente spiccata per le imprese a rischio: solo l’1,5% di queste prevede una capacità produttiva in aumento contro un 71,2% che la vede ridotta. La tendenza negativa caratterizza anche il 20% delle imprese più solide mentre solo il 10,2% prefigura un aumento. La riduzione della capacità produttiva è prevista dal 32,3% delle micro-imprese e dal 22,0% delle piccole; in termini settoriali, dal 29,7% delle imprese del commercio, 34,9% degli altri servizi, 46,7% di alloggio e ristorazione, 50,1% di intrattenimento e cultura e 38,7% negli altri servizi alla persona.
FIGURA 7. CONDIZIONE DI SOLIDITA’ E RISCHIO DELLE IMPRESE ATTIVE NEI PRIMI SEI MESI DEL 2022. Valori percentuali
Rischi per la ripresa da criticità nelle filiere produttive e debolezza della domanda
Nel contesto autunnale, con un rischio minore di ritorno dell’emergenza sanitaria, più di un terzo delle imprese (35,2%, con 35,7% di occupazione e 36,8% di valore aggiunto) non ha segnalato particolari ostacoli ai piani di sviluppo nel primo semestre del 2022.
L’assenza di fattori frenanti è più frequente tra le grandi (37,6% del totale) e le micro-imprese (37,1%), rispetto a quanto riscontrato nelle piccole (28,6%) e medie (29,1%). Dal punto di vista settoriale, una minore rilevanza dei fattori critici viene segnalata dalle attività del commercio (35,9%) e degli altri servizi (41,0%), in particolare in quelli immobiliari (45,4%), professionali (49,2%) e della sanità e assistenza sociale (44,2%).
Tra le criticità, le imprese segnalano con maggiore frequenza quelle legate all’approvvigionamento degli input produttivi (24,3%), alla debolezza della domanda (23,8%) e ai problemi di reperimento e formazione del personale (23,6%). Le difficoltà connesse alla liquidità e alle fonti di finanziamento sono considerate rilevanti solo dal 15,7%, a conferma di una tendenza alla riduzione del loro impatto: a dicembre 2020 le unità produttive in carenza di liquidità erano il 34,1%, a giugno 2020 più della metà.
Colli di bottiglia nell’approvvigionamento di input produttivi e interruzione delle filiere di produzione colpiscono con maggiore incidenza le piccole (32,8%) e medie (37,7%) classi dimensionali e le imprese dell’industria in senso stretto (41,6%) e delle costruzioni (34,0%). I problemi di reperimento e formazione del personale impattano in misura più ampia sulle medesime dimensioni aziendali (33,0% delle piccole e 32,4% delle medie) e in maniera comunque rilevante sugli stessi comparti (24,2% nell’industria e 34,1% nelle costruzioni).
La debolezza della domanda (interna ed estera) influisce in modo sostanzialmente omogeneo per classe dimensionale (20,3% delle grandi, 23,9% delle micro) mentre tra i settori viene segnalata con maggiore frequenza nell’industria in senso stretto e nel commercio (32,2% e 32,4%)i.
Considerando anche la condizione di solidità/rischio, si può cogliere quali fattori critici impattino in maniera differenziale sulle diverse classi. In primo luogo, tra le imprese più solide circa il 40% non denuncia particolari criticità contro il 15,4% delle più fragili. Se da un lato le criticità legate ai processi produttivi e al mercato del lavoro non influenzano in misura significativamente diversa le imprese solide e fragili, dall’altra, la debolezza della domanda e i problemi di liquidità sono molto più pervasivi per le imprese che si definiscono a rischio. In particolare, la prima è segnalata dal 40,1% delle imprese in condizione di rischio grave o parziale a fronte del 19,9% di quelle solide o parzialmente solide, mentre la liquidità e il finanziamento sono problematici per il 32,5% delle prime e l’11,8% delle seconde.
Per comprendere la complessità della crisi è inoltre importante prevederne il corso e la durata. In tale contesto più di sette imprese su dieci dichiarano di non essere in grado di valutare l’orizzonte temporale dei fattori di rischio segnalati. L’incertezza si mostra particolarmente pervasiva nelle imprese più fragili (82,8% dei rispondenti) mentre il 10% di quelle solide (contro l’1,9% delle imprese a rischio) prevede che i fattori critici non si protrarranno oltre il primo trimestre del 2022.
FIGURA 8. CRITICITA’ E FATTORI DI RISCHIO PER LO SVILUPPO DEI PIANI DELLE IMPRESE ATTIVE NEI PRIMI SEI MESI DEL 2022 PER CONDIZIONE DI SOLIDITA’ Valori percentuali
Risorse umane e riorganizzazione dei processi alla base della reazione alla crisi
Al 31 dicembre 2020, il 30,2% delle imprese italiane (rappresentative del 19,2% dell’occupazione), soprattutto di ridotte dimensioni, erano in condizione di spiazzamento strategico, ovvero incapaci di definire strategie di reazione pur avendo segnalato una condizione di rischio operativo.
Alla fine del 2021, lo spiazzamento strategico risulta sostanzialmente ridotto: a fronte di un 38,5% di imprese che dichiarano di non aver adottato o previsto strategie di reazione, solo il 7,4% (poco più di 72mila, con poco meno di 430mila addetti) si definiscono contestualmente in una situazione di forte o parziale rischio. Come nel corso della rilevazione precedente, l’incidenza delle imprese spiazzate è più elevata tra le micro-imprese (8,7% del totale) mentre è poco significativa nelle altre classi dimensionali.
A livello settoriale, l’impatto più pervasivo si registra negli altri servizi (9,1%), in particolare tra le imprese dei comparti più colpiti dalla crisi: l’11,7% nella cultura e intrattenimento, il 12,0% nell’alloggio e ristorazione, l’11,9% negli altri servizi alla persona. In tutti gli altri settori, il peso delle imprese in condizione di spiazzamento strategico è inferiore alla media complessiva.
Le principali motivazioni alla base della mancanza di strategie pur in una condizione di rischio continuano a essere le difficoltà di pianificazione (25,2% delle imprese spiazzate) e finanziamento (21,2%i). Quasi un terzo delle imprese, circa 300mila con poco meno di 2,4 milioni di addetti, non prevede alcuna strategia di reazione specifica perché non ha risentito della crisi o perché è resiliente nei confronti degli esiti della pandemia. Esse operano principalmente nelle costruzioni e nel commercio, dove, rispettivamente, l’85,3% e l’83,2% delle imprese che non adottano strategie di reazione lo fanno perché ritengono di non averne bisogno.
Riguardo alle strategie più diffuse,[iv] il 32,0% delle imprese ha deciso di riorganizzare i processi, in particolare nell’ambito della transizione digitale ed ecologica. Nel 30,1% dei casi, gli interventi si rivolgono al mercato del lavoro interno alle imprese, attraverso variazioni dell’occupazione e/o miglioramento del capitale umano (formazione o assunzione di personale con skill più elevati).
Interventi dal lato del mix di prodotti/servizi venduti e dei mercati di riferimento (anche all’estero) riguardano invece il 27,2% delle imprese. Meno di una impresa su cinque prevede poi interventi sul sistema delle forniture e delle filiere produttive di riferimento. Solo il 3,8% delle imprese prefigura interventi radicali che contemplano la variazione del tipo di attività o un cambiamento di assetto proprietario.
La prevalenza di strategie orientate alla riorganizzazione dei processi e alle risorse umane si riscontra per tutte le classi dimensionali, seppure con un’incidenza crescente all’aumentare della dimensione: circa una su quattro nelle micro-imprese e poco più di sei su dieci nelle grandi per entrambe le categorie di interventi. Le strategie che operano sull’output e sui mercati di destinazione riguardano infine il 46,4% delle medie e il 44,8% delle grandi imprese.
FIGURA 9. STRATEGIE CHE LE IMPRESE ATTIVE HANNO ADOTTATO O ADOTTERANNO NEI PROSSIMI SEI MESI PER FRONTEGGIARE LA CRISI PER CLASSE DIMENSIONALE. Valori percentuali
Una impresa su due prevede di investire in sostenibilità ambientale
Nel corso del 2022, sei imprese su dieci prevedono investimenti in capitale umano e formazione, il 49,9% con intensità modesta, una su dieci con alta propensione. Circa la metà delle imprese rivolgerà i propri investimenti alla sostenibilità ambientale, il 41,4% con modesta, l’8,4% con alta intensità.
Le altre aree di investimento sono reputate meno interessanti: investirà in capitale fisico il 41,3% delle unità (il 7,4% con alta intensità), in tecnologia e digitalizzazione il 42,3% (8,7%), in ricerca e sviluppo il 31,9% (4,5%), in internazionalizzazione il 16,1% (2,7%). L’intensità degli investimenti mostra una forte eterogeneità dimensionale: la prevalenza di imprese che effettuano investimenti tende a essere molto più alta fra le grandi rispetto alle dimensioni aziendali più ridotte. Ciò è particolarmente evidente nella ricerca e sviluppo (70,0% delle grandi contro 27,6% delle micro), nella tecnologia e digitalizzazione (82,8% contro 36,8%) e nell’internazionalizzazione (44,1% contro 12,4%).
Considerando il settore di attività economica, le imprese dell’industria in senso stretto mostrano una maggiore tendenza a investire: in questo comparto si riscontra infatti la più alta incidenza di unità che investono, con modesta o alta intensità, in tutte le aree, a eccezione delle risorse umane e formazione e della sostenibilità ambientale dove sono le costruzioni a registrare la quota più alta (rispettivamente 70,2 e 59,8% contro 63,0 e 56,7% dell’industria in senso stretto).
La frequenza delle varie tipologie di investimento è generalmente bassa tra le imprese del commercio e degli altri servizi. La maggiore prevalenza di investimenti in internazionalizzazione si registra nella manifattura (29,8%), quella connessa agli interventi di sostenibilità ambientale nei settori dell’energia (65,9%) e della gestione dei rifiuti (75,3%).
Considerando congiuntamente le risposte delle imprese sulle diverse aree di investimento si possono definire tre tipologie di imprese in base alla loro propensione a investire (bassa, media o alta)[v].
Quasi due imprese su tre (64,7%, circa 5,2 milioni di addetti, poco più del 30% del valore aggiunto complessivo) mostrano una bassa propensione a investire mentre solo il 5,1% (con 2 milioni di addetti e circa il 20% del valore aggiunto) è incluso nella classe ad alta propensione. L’effetto dimensionale è forte: un’alta propensione riguarda il 24,1% delle grandi e il 18,8% delle medie imprese, solo il 9,6% delle piccole e il 3,3% delle micro.
A livello settoriale, una propensione media all’investimento si riscontra solo nell’industria in senso stretto, con circa il 50% di imprese, contro meno del 40% nelle costruzioni, poco più del 30% nel commercio e negli altri servizi.
Combinando le informazioni su propensione all’investimento e grado di solidità, risulta che le imprese totalmente o parzialmente solide hanno anche una propensione all’investimento media o alta: il 34,4% delle solide (30,4% delle parzialmente solide) è a media propensione, il 6,6% (4,4%) ad alta. Le imprese in condizioni di rischio grave o parziale mostrano invece una maggiore prevalenza nella classe a bassa propensione (il 74,4% delle prime e l’84,3% delle seconde).
FIGURA 10. INTENSITA’ DEGLI INVESTIMENTI PREVISTI DALLE IMPRESE ATTIVE PER AREA (SX) E CONDIZIONE DI RISCHIO (DX) Valori percentuali
Fattori di sostegno: il PNRR come ponte fra il presente e il futuro
In accordo con quanto riscontrato nella percezione delle criticità, il fattore di sostegno che le imprese segnalano con maggiore frequenza è la ripresa della domanda interna. Il 61,0% delle unità produttive (con circa 11,7 milioni di addetti) le assegna un’importanza elevata mentre solo il 16,9% ritiene che non abbia rilevanza alcuna. E’ considerata più rilevante dalle imprese industriali (69,1%) mentre lo è relativamente meno tra le micro imprese (58,2%).
I crediti bancari assistiti da garanzia pubblica, coerentemente con la ridotta criticità legata alle fonti di credito e finanziamento nell’operatività delle imprese, sono considerati molto rilevanti dal 18,5% delle imprese, principalmente piccole (19,8%) e nell’industria (20,3%). D’altra parte, a fronte di un 38,1% che assegna a questa forma di sostegno un’importanza modesta, il 43,4% non la considera in alcun modo rilevante, soprattutto fra le grandi (55,6%) e negli altri servizi (48,6%).
La rilevanza della domanda estera come fattore di traino dell’attività produttiva ha una chiara connotazione dimensionale e settoriale. Nel complesso, poco più del 15% delle imprese le assegna un’importanza elevata e circa due terzi non la considera rilevante; per un terzo delle imprese dell’industria in senso stretto (34,2% delle manifatturiere) è invece un sostegno molto importante.
Le misure che costituiscono il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono un fattore di sostegno percepito da una parte importante ma non prevalente delle imprese, almeno sull’orizzonte temporale del primo semestre del 2022.
Per ciascuno dei capitoli del PNRR direttamente considerati, circa la metà delle imprese non li considera rilevanti come traino dell’attività. Il giudizio riguarda sia le misure legate alla transizione ecologica (il 47,7% le reputa di modesta o elevata importanza) sia quelle inerenti le infrastrutture e la mobilità sostenibile (47,1%) che hanno evidentemente un orizzonte di sviluppo più lontano.
Più della metà delle imprese assegna una modesta (36,0%) o elevata (17%) rilevanza alle misure legate a digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura. Per tutte le tipologie di misura PNRR, l’importanza (modesta o elevata) tende a crescere all’aumentare della dimensione aziendale, soprattutto nei capitoli legati a digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura e alla rivoluzione verde e transizione ecologica.
A livello settoriale, una minore rilevanza si associa alle imprese attive nel terziario non commerciale: più della metà considera non rilevanti i diversi capitoli del PNRR. Le misure legate a digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura sono percepite come importanti (in misura modesta o elevata) principalmente dalle imprese dell’industria in senso stretto (57,4%) e del commercio (56,5%); quelle connesse a rivoluzione verde e transizione ecologica da unità produttive dell’industria in senso stretto (52,3%) e delle costruzioni (56,4%). Infine, gli interventi su infrastrutture e mobilità sostenibile hanno una rilevanza significativa per il 49,6% delle imprese dell’industria in senso stretto, il 52,0% delle costruzioni e il 49,7% del commercio.
RILEVANZA DEI FATTORI DI SOSTEGNO E TRAINO DELLE IMPRESE ATTIVE NEL PRIMO SEMETRE DEL 2022 PER CLASSE DIMENSIONALE E SETTORE DI ATTIVITA’ ECONOMICA. Valori percentuali
Domanda interna | Domanda estera | Crediti bancari assistiti da garanzia pubblica | PNRR (Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura) | PNRR (Rivoluzione verde e transizione ecologica) | PNRR (Infrastrutture e mobilità sostenibile) | ||||||||||||||
Nessuna | Modesta | Elevata | Nessuna | Modesta | Elevata | Nessuna | Modesta | Elevata | Nessuna | Modesta | Elevata | Nessuna | Modesta | Elevata | Nessuna | Modesta | Elevata | ||
3-9 addetti | 19,0 | 22,8 | 58,2 | 69,6 | 18,7 | 11,7 | 44,6 | 37,0 | 18,4 | 49,9 | 33,9 | 16,2 | 54,4 | 32,6 | 13,0 | 54,6 | 31,2 | 14,2 | |
10-49 addetti | 10,4 | 19,4 | 70,2 | 51,5 | 23,3 | 25,2 | 38,3 | 41,9 | 19,8 | 38,0 | 42,7 | 19,2 | 46,2 | 38,8 | 15,0 | 48,1 | 36,2 | 15,7 | |
50-249 addetti | 6,6 | 21,9 | 71,5 | 37,4 | 21,0 | 41,6 | 43,8 | 40,5 | 15,7 | 28,6 | 46,9 | 24,6 | 37,2 | 44,3 | 18,5 | 41,0 | 38,7 | 20,2 | |
250 addetti e oltre | 8,4 | 18,7 | 72,9 | 41,6 | 19,0 | 39,4 | 55,6 | 34,8 | 9,6 | 28,6 | 45,6 | 25,8 | 35,1 | 40,8 | 24,1 | 37,2 | 40,0 | 22,8 | |
Industria in senso stretto | 9,1 | 21,8 | 69,1 | 41,7 | 25,1 | 33,2 | 38,0 | 41,7 | 20,3 | 42,6 | 41,1 | 16,2 | 47,7 | 38,4 | 13,9 | 50,4 | 35,4 | 14,2 | |
Costruzioni | 15,0 | 26,2 | 58,8 | 84,6 | 11,5 | 3,9 | 37,0 | 43,0 | 19,9 | 48,2 | 39,1 | 12,7 | 43,6 | 39,5 | 16,9 | 48,0 | 35,1 | 16,9 | |
Commercio | 14,9 | 20,4 | 64,8 | 69,4 | 20,6 | 10,0 | 40,8 | 40,3 | 18,9 | 43,5 | 37,6 | 18,9 | 49,7 | 36,5 | 13,8 | 50,3 | 34,5 | 15,2 | |
Altri servizi | 21,8 | 22,2 | 56,1 | 68,0 | 18,9 | 13,1 | 48,6 | 34,2 | 17,3 | 50,3 | 32,3 | 17,5 | 57,6 | 29,8 | 12,6 | 56,6 | 29,5 | 14,0 | |
Totale | 16,9 | 22,1 | 61,0 | 65,1 | 19,7 | 15,2 | 43,4 | 38,1 | 18,5 | 46,9 | 36,0 | 17,0 | 52,3 | 34,1 | 13,6 | 52,9 | 32,4 | 14,6 | |
Le esigenze finanziarie più spesso soddisfatte con strumenti propri
L’attuale fase di ripresa ciclica si riflette nel quadro degli strumenti finanziari scelti dalle imprese per soddisfare il proprio fabbisogno di risorse. Tra giugno e novembre 2021 la metà delle unità attive con almeno 3 addetti (49,8%, pari a 477mila imprese con 5,7 milioni di addetti) ha dichiarato di non avere avuto bisogno di ricorrere ad alcuna delle fonti indicate, percentuale in deciso aumento rispetto al 28,9% di un anno prima[vi].
Il legame con la capacità di intercettare la ripresa è evidente: la quota di chi non ha utilizzato alcuno strumento è pari a circa il 61% per le imprese che ritengono solida la propria attività almeno fino a giugno 2022, scende intorno al 46% tra chi la ritiene parzialmente solida, a circa il 33% per chi la percepisce parzialmente a rischio e a meno del 30% per le imprese che si considerano a rischio chiusura. Coerentemente con il generale miglioramento del quadro economico e della liquidità aziendale, nella seconda metà del 2021 le esigenze di finanziamento hanno trovato principale risposta nell’utilizzo di attività liquide presenti in bilancio, segnalato dal 21,4% delle imprese (ma da oltre un quarto di quelle a rischio e da meno del 20% di quelle solide).
Le altre fonti utilizzate con maggiore frequenza sono i prestiti bancari assistiti da garanzia pubblica (14,0%), i margini disponibili sulle linee di credito (13,6%) e la modifica delle condizioni contrattuali con fornitori (9,8%) e clienti (5,2%). In molti casi, tuttavia, l’utilizzo di tali strumenti nel periodo coperto dall’indagine appare ancora dettato dall’esigenza di reagire alle conseguenze della pandemia, poiché la quota di chi ne ha usufruito risulta sempre crescente ‒ in misura a volte considerevole ‒ all’aumentare del rischio percepito per la propria attività.
Solo un segmento molto esiguo di imprese, pari allo 0,5% (circa 4.600, con un’incidenza pari all’1,5% tra quelle di maggiori dimensioni) si è rivolto a strumenti di finanziamento più evoluti e alternativi al debito bancario come obbligazioni, crowdfunding, piattaforme di prestito peer-to-peer (P2P). La quota è in sensibile diminuzione rispetto all’1,4% registrato dalla rilevazione di novembre 2020 e al 5,4% riscontrato a maggio 2020. L’elemento dimensionale è meno netto rispetto alle passate edizioni dell’indagine. Tuttavia, l’incidenza di chi dichiara di non avere utilizzato alcuno strumento supera il 50% tra le micro-imprese, scende al 43,4% tra le piccole, al 37,3% tra le medie e al 38,7% tra le grandi.
Medie e grandi unità segnalano invece con maggiore frequenza il ricorso alla liquidità disponibile (38% in entrambi i casi, a fronte del 19,1% per le imprese con 3-9 addetti), ai margini sulle linee di credito (rispettivamente 19,2% e 18,7%) e al credito bancario non assistito da garanzia pubblica (7,4% e 8,8%). L’utilizzo del credito con garanzia pubblica è scelto soprattutto da imprese micro, piccole e medie.
In una prospettiva settoriale, le attività liquide presenti in bilancio hanno sostenuto soprattutto l’attività delle imprese dei comparti energetico (36,0%), estrattivo (31,4%), di arte, sport e intrattenimento (30,4%) mentre i margini disponibili sulle linee di credito sono stati indicati tra i principali strumenti di sostegno finanziario dalle imprese delle costruzioni (16,2%) e, nell’industria, da quelle della filiera del tessile, abbigliamento e pelli (rispettivamente 21,0%, 18,4% e 19,6%) e nei settori della stampa (22,7%), metallurgia (22,2%) e autoveicoli (20,8%).
FIGURA 11. STRUMENTI PER SODDISFARE IL FABBISOGNO DI RISORSE FINANZIARIE, PER GRADO DI SOLIDITÀ DELL’IMPRESA (*) Valori percentuali
Nel terziario, questa modalità di finanziamento è indicata soprattutto dalle imprese che operano nell’assistenza sociale non residenziale (24,2%), nelle attività creative e artistiche (23,6%), nella pubblicità e ricerche di mercato (21,1%). Al credito assistito da garanzia pubblica, infine, hanno fatto ricorso in misura relativamente maggiore le imprese di alcuni servizi duramente colpiti dalla crisi come alloggio e ristorazione (18,4%, 21,5% nel caso dei servizi di alloggio), agenzie di viaggio (27,6%), attività sportive e di intrattenimento (19,4%) oltre a quelle di alcuni settori manifatturieri come pelli (23,4%), metallurgia (19,5%), autoveicoli (19,3%).
Come già segnalato, la metà delle imprese dichiara di non avere utilizzato alcuno strumento; questo avviene con un’incidenza più elevata nel comparto dei servizi di mercato, in particolare nelle attività assicurativo-finanziarie (63,7%), nella somministrazione di personale (62,8%), nei servizi immobiliari (61,9%) e di informazione e comunicazione (55,8%).
Richieste di prestiti soprattutto per finanziare l’attività corrente
Ha fatto ricorso a prestiti in forma di credito bancario o di strumenti di finanziamento ad esso alternativi il 21,9% delle unità con almeno 3 addetti, con incidenze comprese tra il 18,5% per le grandi imprese e il 25,6% per le medie. Tali quote crescono all’aumentare del grado di rischio percepito dall’impresa: da circa un quinto per chi ritiene che, su un orizzonte semestrale, la propria attività sia sostanzialmente solida a circa il 30% per coloro che la ritengono tendenzialmente a rischio.
Come nella precedente indagine, anche nella fase attuale i prestiti vengono richiesti in primo luogo per finanziare l’attività corrente: per oltre l’87% delle imprese tale finalità è “importante” o “molto importante” (sostanzialmente in linea con la precedente rilevazione). Per il resto, il 62,2% delle imprese ha chiesto prestiti per coprire costi fissi non comprimibili come i canoni di locazione, il 58,2% per ripagare i debiti, il 54,6% per costituire scorte di liquidità e un terzo per finanziare la riconversione della attività.
La finalità appare correlata al grado di solidità percepito dall’impresa. Da un lato le unità che ritengono la propria attività almeno parzialmente solida tendono a chiedere prestiti per costituire un cuscinetto precauzionale di liquidità con una frequenza pari al 56,2%, poco maggiore di quella (49,9%) delle imprese che si dichiarano almeno parzialmente a rischio.
Diversa è la distribuzione per tutte le altre finalità considerate, con divari evidenti soprattutto per la copertura dei costi fissi incomprimibili (80,9% per le seconde a fronte di 55,6% per le prime) e il rimborso dei debiti (77,0% e 51,6%). Coerentemente con quanto sin qui visto, ricorrono con maggiore frequenza ai prestiti le imprese di minore dimensione. Se si esclude la finalità di supporto dell’attività corrente (indicata comunque da quasi l’80% delle grandi imprese), la componente dimensionale di tale scelta emerge soprattutto per la copertura dei costi fissi ‒ rilevante per quasi due terzi delle micro-imprese, oltre la metà delle piccole e per poco più di un terzo delle grandi ‒ e per ripagare i debiti (62,1% delle micro e 34,8% delle grandi).
FIGURA 12. RICORSO AI PRESTITI E GRADO DI IMPORTANZA DELLA LORO FINALITÀ, PER GRADO DI SOLIDITÀ E DIMENSIONE D’IMPRESA (*) Valori percentuali
(*) Nel caso del grado di solidità le incidenze sono calcolate sul totale delle imprese che hanno dichiarato di essere attive, quini escludendo quelle che nel primo quesito dell’indagine si sono classificate come “Chiusa e non prevede di riaprire”.
Le differenze settoriali nell’utilizzo di prestiti per finanziare l’attività corrente non sono molto ampie, in quasi tutti i settori questa finalità è rilevante per almeno tre quarti delle imprese. Al contrario, l’esigenza di coprire costi incomprimibili viene richiamata con maggiore frequenza in alcune attività del terziario, in particolare agenzie di viaggio (86,1%), istruzione (81,6%), alloggio e ristorazione (81,0%), attività artistiche e di intrattenimento (74,2%). Il comparto dei servizi si distingue inoltre per una maggiore incidenza dell’utilizzo di prestiti per il rimborso dei debiti accumulati; è il caso, ad esempio, dell’alloggio e ristorazione (71,0%) e degli altri servizi alla persona (63,3%).
La necessità di costituire scorte di liquidità rappresenta invece una motivazione rilevante per i servizi di mercato, come quelli di somministrazione di personale (85,4%), attività postali e di corriere (84,5%), attività editoriali (71,6%) e professionali (in misura prossima al 60%). Nell’industria questa finalità è importante per quasi tre quarti delle unità del settore dei computer e beni elettronici e da quasi due terzi di quelle della farmaceutica. Infine, a chiedere prestiti per la riconversione dell’attività sono in prevalenza le imprese attive nei settori di gestione dei rifiuti e rete fognaria (oltre il 40%), ristorazione (43%), lotterie e case da gioco (47,5%).
La ricapitalizzazione: una strategia per le imprese a rischio affidata ai soci attuali
Nel primo semestre 2022 il 4,4% delle imprese con almeno 3 addetti (circa 42.500) prevede di effettuare una operazione di ricapitalizzazione (quota dimezzata rispetto al periodo gennaio-giugno 2021). Questa esigenza è indicata dall’8,6% delle imprese più in difficoltà con la quota che sale all’aumentare della dimensione aziendale: 8,2% delle micro-imprese, 10,5% delle piccole, 11,9% delle medie e 16,9% delle grandi. L’intenzione di ricapitalizzare è invece indicata solo dal 3,5% delle imprese che si ritengono generalmente solide, senza differenze dimensionali significative.
Le imprese che segnalano l’esigenza di un rafforzamento patrimoniale prevedono con maggiore frequenza di utilizzare risorse provenienti dai soci attuali (45,0%, che sale al 51,7% tra le medie). Da notare che in occasione della precedente edizione della rilevazione la principale fonte per la ricapitalizzazione era costituita dal capitale pubblico. Oggi alle risorse pubbliche prevede di ricorrere il 38,3% delle imprese, per lo più di dimensioni micro (40,1%) e piccole (34,8%), a fronte di circa un quinto di quelle medie e grandi.
All’apporto di capitale da parte di nuovi soci è orientato il 12,2% delle imprese che prevedono di ricapitalizzare, senza sostanziali differenze tra le classi dimensionali mentre il ricorso alle risorse dei fondi di private equity è più utilizzato dalle imprese di maggiori dimensioni, per le quali rappresenta la seconda fonte più segnalata (24,1%). Va però rilevato che la quota di micro-imprese orientate a ricapitalizzare attraverso fondi di private equity, pur contenuta (3,4%), è rimasta pressoché inalterata rispetto alla precedente rilevazione ed è piccola ma non trascurabile (6,0%) anche tra le piccole imprese.
FIGURA 13. QUOTA DI IMPRESE CHE PREVEDONO DI RICAPITALIZZARE E COMPOSIZIONE DELLE RISORSE, PER DIMENSIONE GRADO DI SOLIDITÀ DELLE IMPRESE (*) Valori percentuali
(*) Nel caso del grado di solidità le percentuali sono calcolate sul totale delle imprese che hanno dichiarato di essere attive.
Vendite via web aumentate oltre le previsioni delle imprese
Il progressivo allentamento dei limiti posti dall’emergenza sanitaria alle attività commerciali e lavorative e la crescente fiducia verso una ripresa dell’economia hanno influenzato nel 2021 l’utilizzo di tecnologie digitali. Questa evidenza emerge soprattutto considerando la quota di vendite realizzate tramite canali web nel periodo 2019-2021.
Sulla base dei dati Istat pubblicati a fine 2020[vii] si poteva osservare come la forte diffusione delle vendite online nei settori più direttamente interessati dagli effetti del distanziamento sociale si fosse riflessa anche a livello aggregato. Tra il 2019 e il 2020 emergevano incrementi delle vendite dirette mediante il sito web proprietario (dal 5,8% al 6,3% del fatturato totale), delle vendite tramite comunicazioni dirette online (e-mail, moduli online, social media, ecc., dal 7,1% al 7,4%) e delle vendite tramite piattaforme digitali (dallo 0,9% all’1,0%).
Tali incrementi erano verosimilmente influenzati in senso negativo dai comportamenti legati al distanziamento sociale e ciò generava nelle imprese a fine 2020 l’aspettativa di un ulteriore incremento della quota di fatturato realizzata tramite canali digitali per il 2021 (almeno di 0,5 punti percentuali per il fatturato complessivo per i tre canali citati).
I dati raccolti presso le imprese a fine 2021 indicano un risultato che rivede verso l’alto le aspettative delle imprese: la quota del fatturato totale acquisito sul web è infatti salita al 17,5% (13,8% del 2019, 14,7% del 2020, 15,2% la previsione per il 2021).
L’analisi dei comportamenti sui canali di vendita web deve considerare la distinzione di fondo relativa alla tipologia dei clienti. L’ipotesi che tali canali siano particolarmente efficaci per raggiungere i consumatori finali, piuttosto che gli operatori economici, è confermata dalle quote relative alle vendite dirette da sito web (nel 2021 il 61% di vendite è verso i consumatori) e alle vendite via piattaforma digitale (77%).
Il mercato business privilegia invece (con il 56%) il contatto diretto tra venditore e acquirente che è gestito più efficacemente tramite canali di comunicazione più flessibili (e-mail, modulistica per ordini online, ecc.).
FIGURA 14. PERCENTUALE DELLE VENDITE TRAMITE CANALI WEB SUL FATTURATO TOTALE, 2019-2022 (PREVISIONI RIFERITE AL PRIMO SEMESTRE). Imprese con 3 addetti ed oltre.
SitI web di e-commerce poco diffusi tra le micro-imprese
Il confronto con i risultati provenienti dall’indagine condotta nell’autunno del 2020 permette di cogliere il mutare della distribuzione delle vendite per canale web, considerando anche la dimensione d’impresa che sembra avere un importante effetto sui comportamenti.
Le micro-imprese privilegiano, anche nel 2021, l’utilizzo di modalità di comunicazione via web come canale di vendita digitale. La quota sulle vendite totali ha raggiunto il 12,0%, con un incremento assoluto rispetto al 2020 di oltre 3 punti percentuali. Significativo è anche l’incremento della quota di vendite passate attraverso le piattaforme digitali, più che raddoppiata tra 2020 e 2021 (dallo 0,6 all’1,3%). Le vendite via sito web sono invece in lieve riduzione.
Le piccole imprese hanno incrementato in misura molto marcata la quota di fatturato delle vendite dirette attraverso i propri siti web (dal 4,0% al 7,3%). Per le imprese di media dimensione (50-249 addetti) sono le piattaforme digitali ad aver registrato la maggiore espansione delle vendite (la relativa incidenza è quasi raddoppiata passando dall’1,2% al 2,2%) mentre sono risultate stabili quelle via sito web e in contrazione quelle gestite tramite altri canali digitali.
Si può ipotizzare che, mentre per le micro-imprese la scelta di privilegiare la vendita via piattaforme digitali sia dettata dalle difficoltà di gestire un proprio sito web, per le imprese medio-grandi ciò corrisponda alla possibilità di negoziare accordi commerciali favorevoli con le stesse piattaforme digitali.
Nel caso delle grandi imprese (250 addetti e oltre), che operano prevalentemente sui mercati business, spicca invece il forte aumento tra 2020 e 2021 (da 3,1% a 5,5%) della quota di vendite concluse mediante canali web di comunicazione diretta, meno utilizzati dalle imprese di dimensioni minori.
FIGURA 15. variazioni ASSOLUTe 2020-2021 DELLE QUOTE DI VENDITE TRAMITE CANALI WEB PER CANALE DI VENDITA E CLASSE DIMENSIONALE. Punti percentuali. Imprese con 3 addetti ed oltre.
La pandemia incide selettivamente sulle vendite online a livello settoriale
Le tendenze a livello settoriale sono molto diversificate e risulta utile focalizzare l’attenzione sulle attività economiche che utilizzano più intensamente i singoli canali di vendita web, considerando due indicatori: la variazione assoluta, tra 2020 e 2021, della quota percentuale di fatturato totale per singolo canale web e l’incidenza del fatturato generato dal singolo canale web sul fatturato totale nel 2021.
Le attività economiche considerate sono caratterizzate da quote sul totale di fatturato realizzato tramite sito web che nel 2021 hanno raggiunto perlomeno il 5% e non hanno superato il 15%, con l’eccezione della ricettività turistica (ATECO 55) dove si è toccato il 35%. Per quest’ultimo comparto l’incremento di vendite tramite sito web è stato di 10,9 punti percentuali nel 2021 (da 24,1% a 35,0%), assai significativo nonostante gli effetti della crisi. L’incidenza è più che raddoppiata anche nelle attività immobiliari (da 2,2% a 7,2%), nell’industria alimentare (da 2,2% a 6,6%) e nella produzione di altri macchinari (da 2,1% a 5,5%).
Diverso è il quadro per le vendite via e-mail, moduli online o social media. In questo caso, non tutti i settori hanno incrementato il loro fatturato nel 2021. Si tratta, come visto, di attività economiche e di dimensioni d’impresa che risentono maggiormente delle tendenze complessive della domanda, piuttosto che delle dinamiche specifiche del commercio sul web. Le differenze sono evidenti: ad esempio per il settore dell’alloggio la quota di vendite via mail, moduli on line e social media è diminuita di 1,1 punti percentuali nel 2021 (scendendo al 19,7%) mentre il settore delle attività sportive, pur essendo ancora poco digitalizzato (12,4%), ha conseguito in piena pandemia un incremento della quota di fatturato generato da comunicazioni via web di 8,3 punti percentuali.
Alcuni settori, come osservato, hanno visto una riduzione della quota di fatturato 2021 realizzato rispetto all’anno precedente, tra gli altri: le agenzie di viaggio (-6,5 punti percentuali), il settore dell’alloggio (-1,1 p.p.) e l’industria della gomma e della plastica (-1,0 p.p.). Tali differenze sono ovviamente influenzate dalla varietà dei mezzi di comunicazione inseriti nella definizione di “comunicazioni via web” che vengono utilizzati dalle imprese in misura assai diversificata.
Per le vendite via piattaforme digitali il numero di attività economiche preso in considerazione è per forza di cose limitato, essendo un canale di vendita utilizzato solo in alcuni settori (Figura 16c). La quota di fatturato intermediata è aumentata per tutti i settori presi in esame, con incrementi molto significativi per il settore dell’alloggio (7,8%, +5,6 punti percentuali) e per quello della ristorazione (da 2,9% del 2020 a 6,6% del 2021).
Anche nei tre settori del commercio (dettaglio, ingrosso, autoveicoli) l’incidenza delle vendite via piattaforme è molto aumentata pur restando ancora su livelli decisamente contenuti (nell’ordine del 2% nel 2021).
FIGURA 16. VENDITE MEDIANTE SITO WEB, comunicazioni via web e piattaforma digitale PER ATTIVITÀ ECONOMICA, 2020-2021. Nell’asse di sinistra (barre), la quota di fatturato via sito Web sul fatturato totale nel 2021; nell’asse di destra (triangoli), la variazione assoluta della quota di fatturato via sito Web 2021 rispetto al 2020.
SITO WEB comunicazioni via web piattaforme dIgitali
I settori considerati sono: 10 INDUSTRIE ALIMENTARI, 14 CONFEZIONI, ABBIGLIAMENTO, 28 ALTRI MACCHINARI, 45 COMMERCIO AUTO, 46 COMMERCIO ALL’INGROSSO, 47 COMMERCIO AL DETTAGLIO, 49 TRASPORTO TERRESTRE, 55 ALLOGGIO, 56 SERVIZI DI RISTORAZIONE, 62 SOFTWARE, INFORMATICA, 68 ATTIVITÀ IMMOBILIARI, 74 ALTRE ATTIVITÀ PROFESSIONALI, 85 ISTRUZIONE, 86 ASSISTENZA SANITARIA.
Una piccola quota di imprese considera cruciali le tecnologie 4.0
La nuova indagine è stata anche utilizzata per esplorare le tendenze di una serie di fattori cruciali della trasformazione digitale delle imprese. Il quadro conferma quanto già osservato a fine 2020, con le imprese impegnate a rafforzare una serie di infrastrutture digitali ma ancora poco indirizzate all’introduzione di processi e tecnologie più avanzati e potenzialmente capaci di forti impatti sulla produttività.
Avendo individuato nove fattori chiave della trasformazione digitale si possono considerare le quote di imprese che li hanno indicati come molto importanti o cruciali. Il fattore più rilevante è quello relativo alla connessione Internet – sia fissa sia mobile – considerato molto importante o cruciale dal 54,3% delle imprese. L’attenzione posta su questo aspetto dalla maggioranza delle imprese potrebbe segnalare un ritardo ancora non colmato nella piena realizzazione dei piani di connessione digitale ad alta velocità dell’intero Paese.
Inoltre, le imprese mostrano una crescente consapevolezza sui rischi della digitalizzazione e dedicano molta attenzione alla sicurezza, in termini di prevenzione di attacchi ed eventuali azioni di recupero dei dati (il 43,1% lo considera molto importante o cruciale). Similmente, si diffondono tra le imprese pacchetti software per la gestione aziendale resi ancora più efficaci dalle opportunità di collegamento in rete all’interno e all’esterno dell’impresa (43,2%).
La formazione digitale (30,5%) sembra invece ricevere limitata attenzione pur essendo cruciale per l’efficacia degli investimenti digitali. Come già accennato, le tecnologie per innalzare la produttività sono quelle meno considerate, probabilmente per la loro specificità settoriale ma anche per una diffusione ancora limitata, specialmente tra le imprese medio-piccole. La quota di imprese che segnalano attenzione per questi fattori è intorno al 20% nel caso di automazione e tecnologie 4.0 e di soluzioni cloud e gestione in remoto di servizi e infrastrutture. Non raggiunge il 10% per applicazioni di intelligenza artificiale e analisi dei Big Data mentre si attesta al 14,8% per il miglioramento dei processi legati al commercio online (contenuti web, magazzino, logistica, ecc.).
Alcuni elementi dell’analisi settoriale sono di particolare interesse. In primo luogo, emerge che la preoccupazione per la qualità della connessione a Internet accomuna grandi e piccole imprese: il tema è cruciale per il 40,1% delle grandi e per il 35,0% delle micro. Inoltre, sono ancora moltissime le imprese che considerano il commercio online non rilevante: il 58,3% di quelle con meno di 10 addetti e il 38,1% delle grandi. Poco considerate anche le tecnologie digitali per la produttività, persino dalle imprese di grande dimensione: le tecnologie cloud sono indicate come cruciali dal 22,8%, l’automazione dal 21,8% e l’intelligenza artificiale dal 13,6% di questo segmento di imprese.
In generale, la qualità della connessione Internet, la sicurezza informatica e l’adozione di software gestionale sono temi più rilevanti per le imprese dei servizi rispetto a quelle manifatturiere. Più nel dettaglio, la formazione digitale è considerata cruciale dalle imprese delle telecomunicazioni (72,4%) e del software (60,7%), i social media dal settore culturale (61,3% delle imprese), intelligenza artificiale e Big Data dal settore assicurativo (23,5%), automazione e 4.0 dalla metallurgia (31,1%), le applicazioni cloud dai produttori di software (49,3%).
FIGURA 17 RILEVANZA PER LE IMPRESE DELLE DIVERSE DIMENSIONI DELLA DIGITALIZZAZIONE. Distribuzione percentuale delle valutazioni espresse dalle imprese di 3 addetti e oltre.
Glossario
Addetto: persona occupata in un’unità giuridico-economica, come lavoratore indipendente o dipendente (a tempo pieno, a tempo parziale o con contratto di formazione lavoro), anche se temporaneamente assente (per servizio, ferie, malattia, sospensione dal lavoro, Cassa integrazione guadagni ecc.). Comprende il titolare/i dell’impresa partecipante/i direttamente alla gestione, i cooperatori (soci di cooperative che, come corrispettivo della loro prestazione, percepiscono un compenso proporzionato all’opera resa e una quota degli utili dell’impresa), i coadiuvanti familiari (parenti o affini del titolare che prestano lavoro manuale senza una prefissata retribuzione contrattuale), i dirigenti, quadri, impiegati, operai e apprendisti.
Asia (Registro statistico delle imprese attive): costituito in ottemperanza disposizioni dei Regolamenti europei n.177/2008 e n.696/1993 secondo una metodologia armonizzata approvata da Eurostat. Il registro Asia è la fonte ufficiale sulla struttura della popolazione di imprese e sulla sua demografia che individua l’insieme delle imprese, e i relativi caratteri statistici, integrando informazioni desumibili sia da fonti amministrative, gestite da enti pubblici o da società private, sia da fonti statistiche. Le principali fonti amministrative sono gli archivi gestiti dall’Agenzia delle Entrate per il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Anagrafe Tributaria, dichiarazioni annuali delle imposte indirette, dichiarazioni dell’imposta regionale sulle attività produttive, Studi di Settore); i registri delle imprese delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura e gli archivi collegati dei soci delle Società di Capitale e delle ‘Persone’ con cariche sociali; gli archivi dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, relativamente alle posizioni contributive dei dipendenti delle imprese e a quelle degli artigiani e commercianti; l’archivio delle utenze telefoniche; l’archivio dei bilanci consolidati e di esercizio; l’archivio degli istituti di credito gestito dalla Banca d’Italia e l’archivio delle società di assicurazioni gestito dall’Isvap. Le fonti statistiche comprendono, invece, l’indagine sulle unità locali delle grandi imprese (IULGI) e le indagini strutturali e congiunturali che l’Istat effettua sulle imprese.
Attività economica: è la combinazione di risorse – quali attrezzature, manodopera, tecniche di fabbricazione, reti di informazione o di prodotti – che porta alla creazione di specifici beni o servizi. Ai fini della produzione di informazione statistica, le imprese sono classificate per attività economica prevalente, secondo la classificazione Ateco2007 in vigore dal 1 gennaio 2008, che costituisce la versione nazionale della nuova classificazione europea delle attività economiche Nace Rev. Se nell’ambito di una stessa unità sono esercitate più attività economiche, la prevalenza è individuata sulla base del valore aggiunto o, in mancanza di tale dato, sulla base del fatturato, del numero medio annuo di addetti, delle spese per il personale o delle retribuzioni lorde.
Fatturato: comprende le vendite di prodotti fabbricati dall’impresa, gli introiti per lavorazioni eseguite per conto terzi, gli introiti per eventuali prestazioni a terzi di servizi non industriali (commissioni, noleggi di macchinari, eccetera), le vendite di merci acquistate in nome proprio e rivendute senza trasformazione, le commissioni, provvigioni e altri compensi per vendite di beni per conto terzi, gli introiti lordi del traffico e le prestazioni di servizi a terzi. Il fatturato viene richiesto al lordo di tutte le spese addebitate ai clienti (trasporti, imballaggi, assicurazioni e simili) e di tutte le imposte indirette (fabbricazione, consumo, eccetera) ad eccezione dell’IVA fatturata ai clienti, al netto degli abbuoni e sconti accordati ai clienti e delle merci rese; sono esclusi anche i rimborsi di imposte all’esportazione, gli interessi di mora e quelli sulle vendite rateali. Il valore dei lavori eseguiti nel corso dell’esercizio da parte delle imprese di costruzione e cantieristiche sono conglobati nel valore complessivo del fatturato.
Grande impresa: unità giuridico-economica con 250 addetti e oltre che produce beni e servizi destinabili alla vendita.
Impresa: unità giuridico-economica che produce beni e servizi destinabili alla vendita e che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme statutarie, ha facoltà di distribuire profitti realizzati ai soggetti proprietari siano essi privati o pubblici. Il responsabile è rappresentato da una o più persone fisiche, in forma individuale o associata, o da una o più persone giuridiche. Tra le imprese sono comprese le imprese individuali, le società di persone, le società di capitali, le società cooperative, le aziende speciali di comuni o province o regioni. Sono considerate imprese anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.
Micro-impresa: unità giuridico-economica con 3-9 addetti che produce beni e servizi destinabili alla vendita.
Medie imprese: unità giuridico-economica con 50-249 addetti che produce beni e servizi destinabili alla vendita.
Piccole imprese: unità giuridico-economica con 10-49 addetti che produce beni e servizi destinabili alla vendita.
Produttività nominale del lavoro: è misurata dal rapporto fra il valore aggiunto e gli addetti, ovvero indica il grado di efficienza del fattore lavoro.
Province classificate per aree di diffusione epidemia covid-19: per valutare la diffusione all’interno delle Province ed eliminare l’eterogeneità dovuta alle diverse strutture per età delle corrispondenti popolazioni, sono stati calcolati i tassi standardizzati di incidenza cumulata 5 al 31 marzo dei casi confermati positivi all’infezione (rapporto tra numero di casi di una malattia sulla popolazione a rischio in un certo periodo di tempo); lo standard utilizzato è la Popolazione Italiana al Censimento 2011.”
La distribuzione di questi tassi è stata divisa in tre classi: la prima classe definita a diffusione” bassa” comprende le province con valori del tasso <40 casi per 100.000 residenti, la seconda classe definita a diffusione “media” comprende le province con valori del tasso tra i 40-100 casi ogni 100.000 residenti, la terza definita a diffusione “alta “comprende le province con valori superiori ai 100 casi ogni 100.000 residenti. Cfr. Report ISTAT-ISS.
Unità giuridico-economica: entità organizzativa finalizzata alla produzione di beni e servizi e dotata di autonomia decisionale, in particolare per quanto attiene alla destinazione delle sue risorse correnti. Le unità giuridico-economiche esercitano una o più attività economiche in uno o più luoghi. Le unità giuridico-economiche sono generalmente distinte in imprese, istituzioni pubbliche e istituzioni non profit, private o pubbliche.
Valore aggiunto: rappresenta l’incremento di valore che l’attività dell’impresa apporta al valore dei beni e servizi ricevuti da altre aziende mediante l’impiego dei propri fattori produttivi (il lavoro, il capitale e l’attività imprenditoriale). Tale aggregato è ottenuto sottraendo dal totale dei ricavi l’ammontare dei costi: i primi contengono il valore del fatturato lordo, le variazioni delle giacenze di prodotti finiti, semilavorati e in corso di lavorazione, gli incrementi delle immobilizzazioni per lavori interni e i ricavi accessori di gestione; i secondi comprendono i costi per acquisti lordi, per servizi vari e per godimento di servizi di terzi, le variazioni delle rimanenze di materie e di merci acquistate senza trasformazione e gli oneri diversi di gestione.
Nota metodologica
Obiettivi conoscitivi e quadro di riferimento
Le informazioni raccolte attraverso la rilevazione “Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19” consentono di individuare alcuni profili di comportamento delle imprese italiane nella fase di superamento della crisi economica dovuta agli effetti dell’emergenza sanitaria. Caratteristica principale della rilevazione è la tempestività che ha contraddistinto ognuna delle fasi del processo produttivo statistico, dalla predisposizione del questionario alla raccolta dati, alle fasi di elaborazione, controllo, analisi dei risultati e diffusione delle informazioni.
Popolazione di riferimento, unità di rilevazione e di analisi
La popolazione obiettivo è coerente con quella definita nell’ambito del Censimento permanente delle imprese (CPUE 2019). Le dimensioni che definiscono il perimetro delle imprese oggetto di rilevazione sono le seguenti:
- attività economica: sono considerate le imprese attive operanti nell’industria, nel commercio e nei servizi, secondo la classificazione delle attività economiche Ateco 2007: sezioni da “B” a “N” e da “P” a “R”, divisioni “S95” e “S96”;
- dimensione d’impresa: sono incluse le imprese con almeno 2,5 addetti medi nell’anno;
- territorio: sono considerate le imprese risiedenti nel territorio nazionale.
Fanno parte del campo d’osservazione le imprese con i seguenti codici della classificazione delle forme giuridiche: (1120 1130 1140 1210 1220 1230 1240 1250 1310 1320 1330 1340 1350 1410 1420 1440 1510 1520 1530 1540 1610 1620 1630 1900). Sono invece escluse le seguenti tipologie di imprese: Imprenditore individuale agricolo, Società cooperativa sociale, Cooperativa Onlus, Impresa sociale, Associazione e fondazione riconosciuta come impresa sociale, Società sportiva dilettantistica, Associazione sportiva dilettantistica.
L’archivio di riferimento utilizzato per definire la lista delle unità della popolazione obiettivo, è l’archivio statistico delle imprese attive ASIA.
Unità di rilevazione e di analisi è l’impresa (considerata come unità legale).
La lista delle unità da cui sono selezionate le imprese campione, è costituita dalle imprese rispondenti alla rilevazione CPUE 2019. Ciò offre il vantaggio di disporre sia di informazioni strutturali sulle imprese, sia di informazioni di carattere qualitativo altrimenti non disponibili da altre fonti, specialmente per le unità economiche di dimensione medio-piccola. Altro vantaggio è costituito dal poter impiantare un panel di imprese a cui sottoporre la rilevazione in tempi successivi, con quesiti in parte diversi, allo scopo di analizzare l’evoluzione dei comportamenti e delle reazioni delle imprese nel breve-medio periodo rispetto all’emergenza in atto.
Per motivi di tempestività, inoltre, si è deciso di contattare le imprese in possesso di Posta Elettronica Certificata (PEC) e già registrate al Portale delle imprese dell’Istituto. Allo stesso tempo è stata inviata, tramite e-mail, una comunicazione destinata ai referenti delle imprese così individuate per un loro coinvolgimento diretto nella compilazione del questionario anche in caso di chiusura temporanea della sede fisica dell’impresa.
Copertura e dettaglio territoriale
Le informazioni sono disponibili per l’intero territorio nazionale e vengono rilasciate con un livello di dettaglio massimo regionale.
Disegno di campionamento
Le caratteristiche peculiari della rilevazione hanno portato allo studio e implementazione di un disegno di campionamento a due fasi. Nel campione di prima fase, di tipo casuale semplice a uno stadio stratificato e adottato nell’ambito della rilevazione censuaria conclusa recentemente, gli strati sono stati definiti secondo la combinazione delle modalità delle variabili strutturali considerate per la definizione delle tipologie di dominio di interesse (cfr.: Tabella 1).
La definizione delle tipologie di dominio riguardante il campione di seconda fase è riportata in Tabella 2. Nel campione di seconda fase, allo scopo di limitare eventuali evidenze connesse all’autoselezione dei rispondenti, i pesi campionari iniziali sono definiti in funzione del tasso di mancata risposta totale osservato nell’ambito del campione di prima fase.
Domini di stima pianificati
La scelta dei domini di stima pianificati nel disegno d’indagine (prima fase) è stata formulata replicando il dettaglio settoriale, dimensionale e territoriale stabilito in sede di pubblicazione dei risultati della rilevazione multiscopo sulle imprese[1]. Per determinare la numerosità campionaria in funzione degli errori attesi predefiniti si è seguito il dettaglio descritto in Tabella 1.
Tabella 1. Domini di stima pianificati (campione di prima fase)
Variabili strutturali che definiscono il dominio | |||
Dominio | Settori di attività economica Ateco 2007 | Dimensione (*) | Territorio |
1 | 5 macro-settori (**) | 3 classi di addetto | 107 province |
2 | 2 cifre – divisioni | 3 classi di addetto | 21 regioni |
3 | 4 cifre – classi | 3 classi di addetto | – |
4 | 2 cifre – divisioni | 4 classi di addetto (a) | – |
(*) 3 classi di addetto (3-9; 10-19; 20 e oltre). Le imprese con almeno 20 addetti sono state censite, quelle appartenenti alle classi di addetto 3-9 e 10-19 sono state campionate.
(**) I macro-settori di attività economica considerati sono i seguenti: industria in senso stretto; energia e acqua; costruzioni; commercio; altri servizi
(a) Relativamente ad alcune divisioni Ateco la classe addetti 3-9 è stata ulteriormente dettagliata in 3-4, 5-9.
La stratificazione adottata che ha reso pianificabili le quattro tipologie di dominio d’interesse è stata definita dalla concatenazione di “ateco_4_cifre * 4 classi di addetto * 107 province“.
Con riferimento al campione di seconda fase i domini di stima pianificati sono definiti secondo il seguente schema.
Tabella 2. Domini di stima pianificati (campione di seconda fase)
Variabili strutturali che definiscono il dominio | |||
Dominio | Settori di attività economica Ateco 2007 | Dimensione (*) | Territorio |
1 | 2 cifre – divisioni | 3 classi di addetto | – |
2 | Sezione | 3 classi di addetto | 5 ripartizioni territoriali (a) |
(*) 3 classi di addetto (3-9; 10-19; 20 e oltre).
(a) Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud, Isole.
La stratificazione qui adottata rispetto alle due tipologie di dominio d’interesse è stata definita dalla concatenazione di “ateco_4_cifre * 3 classi di addetto * 5 ripartizioni territoriali“.
Dimensione campionaria e allocazione delle unità campione
Per la determinazione della numerosità campionaria complessiva e la successiva allocazione delle unità campione negli strati in funzione dei domini di stima pianificati, sono utilizzati i principali risultati del censimento permanente imprese anno 2018[2].
L’allocazione delle unità campione negli strati, di tipo multi-dominio, è coerente con un approccio che tiene conto del fenomeno della mancata risposta totale (MRT) alla rilevazione censuaria (campione di prima fase), in cui si è osservato un meccanismo della MRT non casuale, legato principalmente alla dimensione e alla localizzazione geografica dell’impresa. Per limitare eventuali effetti distorsivi dovuti al fenomeno di autoselezione dei rispondenti si è pertanto campionato con probabilità inversamente proporzionale al tasso di risposta ottenuto nella prima fase all’interno dello strato di seconda fase costruito sulle variabili Ripartizione e ClasseAddetti disponibili da registro ASIA aggiornato. Infine, l’allocazione delle unità per strato è definita con l’obiettivo di garantire una adeguata copertura di imprese campione in ognuno dei domini predefiniti. Contestualmente si prevede il contenimento dell’errore campionario atteso al di sotto di soglie prefissate per ognuno dei domini di interesse.
La determinazione della numerosità campionaria complessiva e la relativa allocazione delle unità negli strati rispondono, inoltre, a esigenze di carattere pratico (rapidità di realizzazione del processo produttivo della rilevazione) e, allo stesso tempo, sono coerenti con l’obiettivo di limitare il carico statistico sulle imprese, in special modo durante il particolare periodo di rilevazione.
La dimensione complessiva del campione ottimo, progettato secondo i criteri descritti, è risultata essere pari a 90.461 unità, distribuite per regione come riportato in Tabella 3.
Tabella 3. Distribuzione della numerosità del campione e dell’universo per regione
Regione | campione | universo | Regione | campione | universo | Regione | campione | universo |
Piemonte | 5.245 | 74.042 | Liguria | 2.050 | 28.620 | Molise | 772 | 4.254 |
Valle d’Aosta | 392 | 2.945 | Emilia-Romagna | 6.746 | 89.956 | Campania | 5.618 | 73.985 |
Lombardia | 12.721 | 193.087 | Toscana | 11.004 | 81.609 | Puglia | 6.121 | 57.240 |
Bolzano | 734 | 13.400 | Umbria | 2.185 | 16.448 | Basilicata | 1.178 | 7.370 |
Trento | 810 | 11.372 | Marche | 5.393 | 32.240 | Calabria | 2.403 | 20.312 |
Veneto | 6.050 | 102.661 | Lazio | 6.142 | 88.529 | Sicilia | 6.035 | 55.580 |
Friuli-Venezia Giulia | 2.056 | 20.954 | Abruzzo | 3.389 | 21.656 | Sardegna | 3.417 | 23.526 |
ITALIA | 90.461 | 1.019.786 |
La raccolta delle informazioni
Il questionario della rilevazione si compone di cinque sezioni, (Sez. 1 – La situazione attuale; Sez. 2 – Gestione e politiche del personale; Sez. 3 – Finanza; Sez. 4 – Digitalizzazione e tecnologie; Sez. 5 – Criticità e orientamenti strategici.
Rispetto al questionario della seconda edizione della rilevazione, il modello attuale è stato progettato in modo tale da soddisfare sia le esigenze di tracciamento dell’evoluzione dei comportamenti delle imprese rispetto ad alcuni temi (Sez. 1-2), sia con l’obiettivo di intercettare le soluzioni organizzative delle imprese stesse adottate nel presente e programmate in una prospettiva di breve termine (Sez. 3-5).
Strategie e strumenti di rilevazione
Le imprese sono state invitate a partecipare alla rilevazione e a compilare il modello di rilevazione tramite il sito web del Portale delle imprese (tecnica CAWI). Secondo questo approccio il questionario viene compilato direttamente dal referente dell’impresa a cui sono segnalate immediatamente, durante la compilazione del modello, eventuali incoerenze e/o incompletezze.
L’errore non campionario
Durante l’intero processo di rilevazione, dalla fase di progettazione a quella di raccolta dei dati, possono verificarsi diverse tipologie di errore non attribuibili alla strategia campionaria adottata, ma al complesso di operazioni necessarie per la realizzazione dell’indagine stessa. Tali errori sono comunemente detti non campionari per poterli distinguere dall’errore campionario, dovuto al piano di campionamento e allo stimatore utilizzato.
Nell’ambito dell’errore non campionario possono essere identificate due diverse tipologie di errore che si manifestano come mancate risposte parziali o mancate risposte totali. Per mancate risposte parziali si intende la mancata risposta ad uno o più quesiti del questionario, mentre le mancate risposte totali sono costituite dalle unità di rilevazione per le quali non è stato possibile rilevare le informazioni per cause diverse: errori di lista, rifiuto a collaborare all’indagine o impossibilità di reperimento dell’unità campionata.
Uno dei principali effetti delle mancate risposte totali è la non copertura della popolazione oggetto di studio che, nel caso in cui i non rispondenti differiscano sistematicamente dai rispondenti, produce gravi distorsioni nelle stime. Nelle indagini campionarie le mancate risposte totali causano, in aggiunta, una riduzione della numerosità campionaria e quindi incrementano il relativo errore di campionamento.
Nella presente indagine la quota di imprese che dall’esito dell’intervista risulta aver completato il questionario è pari a 46,1%, mentre la quota di quelle che risulta aver compilato parzialmente il questionario è dell’1,8%. Tuttavia, una parte dei questionari parzialmente compilati presentavano un numero troppo elevato di mancate risposte parziali per cui sono stati assimilati alle mancate risposte totali.
Il trattamento delle mancate risposte parziali
Sebbene il questionario elettronico garantisca solitamente una buona qualità delle informazioni raccolte, le risposte mancanti ad uno o più quesiti, pur non essendo ammesse, talvolta possono presentarsi a causa di problemi incorsi durante la compilazione e in ogni caso non prevedibili. Analogamente, eventuali errori di percorso del questionario possono essere attribuiti ad eventuali mal funzionamenti di componenti software o hardware dello strumento di rilevazione, o a errori nella fase di progettazione del questionario stesso.
Un piano di controllo e correzione con metodo probabilistico agisce a livello di singola unità (record) per individuare e correggere errori casuali manifestatisi durante il processo di rilevazione. Più in generale questi errori comprendono le mancate risposte ad uno o più quesiti, i valori non ammissibili delle singole variabili e le incoerenze logiche tra le informazioni rilevate che siano di lieve entità e non riconducibili a cause sistematiche.
Il questionario della terza edizione della rilevazione “Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19” è composto quasi totalmente da variabili qualitative. Solo tre variabili sono quantitative, relative a: (Q7) la percentuale del personale dell’impresa in lavoro a distanza, Smart Working o telelavoro sul totale del personale nei diversi periodi (a, b, c), (Q15) la percentuale di vendite stimate nel 2021 per canale di commercializzazione (tipo a, b, c, d), e (Q16) la percentuale di vendite attese nel periodo gennaio-giugno 2022 per canale di commercializzazione (tipo a, b, c, d). Per queste variabili sono stati creati degli indicatori binari che indicano la presenza o meno di un valore a seconda delle variabili filtro presenti nel questionario. Per fare un esempio, indicando per il 2021 almeno due canali di commercializzazione (domanda Q14) tra le modalità a, b, c, d, il rispondente avrebbe dovuto precisare, rispondendo alla domanda Q15, la percentuale di vendite stimate per ogni canale precedentemente selezionato. Gli indicatori binari sono andati a sommarsi alle altre variabili qualitative della rilevazione. Per quanto riguarda invece il contenuto “quantitativo” delle variabili Q7, Q15 e Q16 sono stati implementati dei controlli e trattamenti ad hoc.
Per le variabili qualitative l’individuazione degli errori avviene mediante un insieme di regole di incompatibilità (edit), cioè un insieme di asserzioni sulla non ammissibilità di modalità (codici) per la singola variabile o di combinazioni di modalità relative a più variabili.
Le regole definite dagli esperti dell’indagine costituiscono l’insieme delle regole esplicite. L’attivazione di una o più regole di incompatibilità in corrispondenza di un dato record indica che il record in esame è errato rispetto all’insieme di regole definite. Al contrario, un record che non attiva nessuna regola risulta esatto rispetto all’insieme delle regole e quindi non necessita di essere corretto.
Una volta definiti, gli edit espliciti sono stati inseriti in SCIA (Sistema per il Controllo e l’Imputazione Automatica), un sistema automatico di controllo e correzione di variabili qualitative interamente sviluppato in Istat secondo la metodologia e i formalismi di Fellegi e Holt (1976)[3]. Più precisamente, è stata utilizzata la versione di SCIA contenuta in CONCORDJava (CONtrollo e CORrezione dei Dati con interfaccia Java), un software integrato open source progettato per ambienti operativi Windows[4].
Il metodo di correzione di Fellegi e Holt appartiene alla classe dei metodi di imputazione di tipo hot-deck, la cui proprietà comune è quella di selezionare un donatore che abbia caratteristiche simili al ricevente. Questo è generalmente fatto suddividendo tutte le unità appartenenti all’insieme dei rispondenti in classi di imputazione e selezionando per ogni ricevente un donatore appartenente alla stessa classe. Le classi di imputazione sono determinate in funzione di variabili ausiliarie che siano esplicative delle variabili oggetto studio. Nel caso in esame, dato il numero esiguo di riceventi, non sono state utilizzate delle classi di imputazione.
Al fine di individuare per ciascun record errato quali variabili modificare per riportare il record stesso a una situazione di correttezza (rispetto all’insieme di regole definito), il metodo di Fellegi e Holt prevede che vengano considerati anche gli edit impliciti, cioè quelli logicamente derivati dagli edit espliciti. Gli edit espliciti e quelli impliciti costituiscono l’insieme completo degli edit, indispensabile per garantire la correttezza finale di un record. Infatti, pur essendo sufficienti ad individuare la presenza di errori all’interno dei record, le regole esplicite non sono sufficienti a determinare quali variabili correggere per riportare il record ad una situazione globale di correttezza, e tanto meno il minor numero di variabili da modificare (principio del minimo cambiamento). Una volta individuate le variabili errate (fase di localizzazione) si procede con la correzione delle stesse mediante imputazione di tipo hot-deck, selezionando il record donatore nella stessa classe di imputazione alla quale appartiene il record errato.
A causa dell’elevato numero di edit espliciti, l’intero processo di controllo e correzione è stato suddiviso in due sottoprocessi, l’uno riguardante le imprese che risultano aver chiuso e non prevedono di riaprire (quesito Q1=4), l’altro relativo alle imprese che risultano parzialmente o totalmente aperte, o pur essendo chiuse prevedono di riaprire (Q1=1,2,3). Poiché i due sottoinsiemi di rispondenti (Q1=4 vs Q1=1,2,3) corrispondono a due percorsi distinti del questionario, è stato possibile realizzare due sottoprocessi analoghi e totalmente indipendenti.
Il processo rivolto al trattamento dei record con Q1=4 è costituito da 298 edit espliciti e da un insieme completo di 35 edit; mentre il processo per il trattamento dei record con Q1=1,2,3 include 312 edit espliciti e un insieme completo di 2310 edit.
L’insieme di imprese che sono state sottoposte al processo di controllo e correzione è composto da 41.960 unità. Di queste, 620 sono imprese chiuse (Q1=4) e non presentano record errati (rispetto all’insieme di regole definite).
Le analisi esplorative del sottoinsieme di imprese con Q1=1,2,3 hanno rilevato la presenza di imprese che non hanno fornito alcuna risposta ad intere sezioni del questionario. Delle circa 600 unità che presentavano almeno una risposta mancante, 274 non hanno compilato solo l’ultima sezione e sono state quindi trattate come mancate risposte parziali, mentre le altre sono state assimilate al complesso delle mancate risposte totali.
Le 41.340 unità con Q1=1,2,3 che sono state sottoposte al processo di controllo e correzione sono imprese che: hanno inviato il questionario in maniera definitiva (41.634 unità), non hanno inviato il questionario in maniera definitiva ma non presentano mancata risposta parziale (52 unità), non hanno inviato il questionario in maniera definitiva e presentano mancata risposta parziale (274 unità).
La Tabella 4 riporta il numero di record errati ed esatti (rispetto all’insieme di regole definite) per le imprese con Q1=1,2,3.
Tabella 4. Record errati per le imprese con Q1=1,2,3
Record | N. | % |
Esatti | 41.061 | 99,33 |
Errati | 279 | 0.67 |
Totale | 41.340 | 100.00 |
In definitiva quindi, la percentuale complessiva di record corretti mediante SCIA è pari a 0,66 (279 su 41960).
Per quanto riguarda le variabili quantitative Q7, Q15 e Q16, la percentuale di correzione è inferiore o uguale a 0,23.
Determinazione dei correttori della distorsione
La mancata partecipazione all’indagine, ovvero il fenomeno della mancata risposta totale, è un fenomeno presente, anche se in misura diversa, in tutte le rilevazioni statistiche. La mancata risposta e la potenziale distorsione delle stime da indagine rappresentano un problema rilevante, soprattutto per quanto riguarda le indagini sulle imprese, dove (contrariamente alle rilevazioni sociali) la diversa importanza economica fa in modo che non tutte le unità contribuiscano equamente alle stime dell’indagine. Diminuzione della accuratezza delle stime statistiche ed effetti “distorsivi” sono possibili laddove esistano forti dissomiglianze tra le unità che partecipano alla rilevazione e quelle che non vi partecipano.
Gli effetti distorsivi sulle stime possono perciò essere visti come il risultato di una eventuale correlazione tra fenomeni rilevati, caratteristiche d’impresa e propensione delle unità a fornire le informazioni richieste. Conoscere il meccanismo aleatorio che sottende a tale fenomeno (quali sono le caratteristiche dell’impresa che portano ad una differenziazione della propensione delle diverse unità) sarebbe necessario e sufficiente per ovviare a questo problema.
Benché tale meccanismo non sia noto, la letteratura statistica ha sviluppato diverse tecniche che permettono, sulla base di informazioni disponibili sia per l’insieme delle imprese rispondenti che non rispondenti, l’attribuzione di una stima della propensione alla risposta. Tale stima permette di attenuare, o eliminare, gli effetti negativi della mancata risposta se i necessari assunti fatti per stimare la propensione alla risposta descrivono correttamente la situazione reale.
Il modello di propensione alla risposta viene utilizzato per il calcolo di coefficienti “correttivi” da associare alle sole unità rispondenti (il coefficiente correttivo serve ad ampliare il ruolo delle unità rispondenti per rappresentare anche le unità non rispondenti).
Le propensioni di risposta, applicate come base per aggiustamenti di mancata risposta della survey, può avvenire utilizzando due tecniche (Brick, 2013): aggiustamento diretto (“direct approach”) o per strato (“propensity stratification weighting”). Nel primo caso il fattore di aggiustamento ai pesi di base degli intervistati viene calcolato come l’inverso della propensione alla risposta stimata (Bethlehem et al., 2011, Valliant et al., 2013 e Chen et al., 2012), mentre il secondo presuppone una uguaglianza nella propensione alla risposta prevista per strati omogenei di rispondenti e non rispondenti (Little, 1986), definito in tre modi: (a) l’inverso della propensione alla risposta media in una data cella; (b) il rapporto tra la somma dei pesi di input di tutti i casi nella cella e la somma dei pesi di input degli intervistati nella cella; oppure (c) l’inverso dei tassi di risposta non ponderati all’interno di ciascuna cella (Bethlehem et al., 2011 e Valliant et al., 2013).
Nel caso di stima diretta, come nel caso in esame, esistono numerose tecniche per la ricerca del modello di propensione alla risposta, che è sempre espressa come una funzione di covariate quantitative e categoriali. Modelli a variabili discrete, logistic o probit, sono stati tipicamente impiegati a questo fine; nella letteratura e nella pratica statistica si stanno diffondendo e consolidando in questi anni metodi di tipo Random Forest (RF) per via dei vantaggi che l’utilizzo dei modelli non parametrici di ensemble garantiscono rispetto ai modelli lineari (convergenza dell’algoritmo e gestione di un gran numero di covariate, capacità di cogliere non-linearità nei dati, performance complessive del classificatore di ensemble rispetto ai modelli lineari). In estrema sintesi, i modelli RF sono metodi di classificazione recursiva sulla base di informazioni ausiliarie note sia per i rispondenti che per i non rispondenti.
Le informazioni utilizzate nel caso dell’indagine in oggetto possono essere distinte in due tipologie: “informazioni amministrative” e “paradati”. Le prime, che tipicamente provengono da fonti amministrative o registri statistici, descrivono le unità attraverso variabili quali ad esempio: localizzazione, dimensione, settore d’attività economica, conto economico, forma organizzativa. I “paradati” descrivono invece il processo di osservazione dell’unità attraverso variabili quali ad esempio: tecnica di intervista, modalità di contatto, tipologia di questionario, numero di rilevazioni in cui l’unità è stata coinvolta, ecc.. Le variabili esplicative individuate, ovvero quelle utilizzate per definire il profilo delle imprese rispetto alla loro propensione alla risposta, sono state diverse decine (poco meno di 80, alcune delle quali però fortemente correlate tra loro); tra i parametri “tecnici” necessari per l’implementazione di questa tecnica vanno ricordati il “numero di alberi” e il numero minimo di imprese che deve ricadere nella foglia finale di ciascun albero; il numero di alberi è stato fissato rispettivamente a 200; il numero minimo di unità è stato posto pari a 10 in entrambi i casi; utilizzando il profilo delle imprese ottenuto mediando i 200 profili sono state la propensione alla risposta di ciascuna unità (ogni albero definendo un profilo, esprime un “voto” nell’ensemble, per cui la probabilità di risposta è espressa come la frazione di alberi che hanno avuto come outcome un profilo da rispondente rispetto ai 200 modelli complessivi). I risultati ottenuti sono stati soddisfacenti ai fini correttivi previsti.
Procedimento per il calcolo delle stime
Il principio su cui è basato ogni metodo di stima campionaria è che le unità appartenenti al campione rappresentino anche le unità della popolazione che non sono incluse nel campione. Questo principio viene realizzato attribuendo ad ogni unità campionaria un peso che indica il numero di unità della popolazione rappresentate dall’unità medesima.
I pesi finali da attribuire alle unità campionarie sono ottenuti per mezzo di una procedura complessa che parte dal calcolo del peso diretto come reciproco della probabilità di inclusione di ogni unità campionaria.
Ai pesi diretti vengono applicati due serie di fattori correttivi: i primi, detti correttori della mancata risposta, sono determinati con tecniche più o meno complesse (cfr.: par. precedente) e hanno l’obiettivo di correggere, almeno parzialmente, la distorsione conseguente alla mancata risposta totale; ciascun correttore indica il numero di unità non rispondenti rappresentato da ciascuna unità che ha risposto all’indagine.
La seconda serie di fattori di aggiustamento, detti fattori di post-stratificazione, sono applicabili quando esistono totali noti di variabili ausiliarie correlate alle variabili oggetto di indagine; tali fattori hanno la proprietà di rendere le stime finali più efficienti di quelle basate sui soli pesi diretti, essendo l’efficienza tanto maggiore quanto più è alta la correlazione tra le variabili ausiliarie e le variabili oggetto di indagine; inoltre permettono di attenuare l’effetto distorsivo dovuto alla sottocopertura della lista da cui è selezionato il campione.
I fattori di post-stratificazione sono determinati attraverso la risoluzione di un problema di minimo vincolato: la funzione da minimizzare è una funzione di distanza (opportunamente prescelta) tra i pesi diretti (corretti per MRT) e i pesi finali, mentre i vincoli sono definiti dalla condizione di uguaglianza su determinate partizioni (dette domini di calibrazione) tra stime campionarie dei totali delle variabili ausiliarie considerate ed i valori, noti da archivio, degli stessi totali. La funzione di distanza normalmente adottata è la funzione logaritmica, che garantisce che i pesi finali siano positivi.
Il peso finale viene infine ottenuto come prodotto del peso base per i fattori correttivi.
Per la rilevazione in oggetto, le variabili ausiliare rispetto a cui è stata imposta la condizione di uguaglianza tra totali noti (detti benchmark) e rispettive stime campionarie sono state il Numero medio di addetti e il Numero di imprese, presenti a livello di dato elementare sul Registro delle imprese attive ASIA 2018 definitivo. La disponibilità della versione dell’archivio delle imprese attive più aggiornata (maggio 2020) ha permesso di correggere in fase di calibrazione la distorsione dovuta al fenomeno di sottocopertura o di duplicazione di unità nell’archivio di selezione (ASIA 2018 anticipato).
Le partizioni rispetto a cui si è imposto il sistema di vincoli sui totali noti delle variabili ausiliarie, ossia i domini di calibrazione, sono coincise con il dettaglio di diffusione previsto per le stime, come si vede in Tabella 6.
Tabella 6. Domini di calibrazione delle stime finali
Variabili strutturali che definiscono il dominio | |||
Dominio | Settori di attività economica Ateco 2007 | Dimensione | Territorio |
1 | 2 cifre – divisioni | – | – |
2 | 4 macro-settori (*) | 4 classi di addetto (**) | – |
3 | 4 macro-settori | 4 classi di addetto | 4 ripartizioni territoriali (***) |
4 | 4 macro-settori | – | 21 regioni (****) |
(*) I 4 macro-settori di attività economica sono: industria; costruzioni; commercio; altri servizi.
(**) Le 4 classi di addetto sono: 3-9; 10-49; 50-249; 250 e oltre.
(***) Le 4 ripartizioni territoriali sono: Nord-ovest; Nord-est; Centro; Mezzogiorno.
(****) Sono considerate le Regioni e le Province autonome di Bolzano e Trento.
Rispetto a tali partizioni si è realizzata una perfetta convergenza tra totali noti da Registro[viii] e stime campionarie, con una distanza minima tra peso base e peso finale. Al termine della procedura di calibrazione, i pesi finali determinati a livello di impresa sono stati moltiplicati per i valori delle variabili rilevate e poi sommati per ottenere le stime relative al dominio di interesse.
Informazioni sulla riservatezza dei dati
I dati raccolti sono tutelati dal segreto statistico e sottoposti alla normativa sulla protezione dei dati personali. Questi possono essere utilizzati, anche per successivi trattamenti, esclusivamente per fini statistici dai soggetti del Sistema statistico nazionale e possono, altresì, essere comunicati per finalità di ricerca scientifica alle condizioni e secondo le modalità previste dall’art. 7 del Codice di deontologia per il trattamento di dati personali effettuato nell’ambito del Sistema statistico nazionale e dal regolamento comunitario n. 831/2002. Le stime diffuse in forma aggregata, sono tali da non poter risalire ai soggetti che hanno fornito i dati o a cui si riferiscono.
Diffusione
A conclusione del processo produttivo della rilevazione, i risultati ottenuti vengono pubblicati in data 4 febbraio 2022 attraverso il canale di diffusione “Statistica Report” e comprendono un dettagliato Report di analisi e un’appendice statistica contenente i dati degli item del questionario per settore di attività economica e Regione.
I dati elementari rilevati nel corso dell’indagine sono resi disponibili per gli utenti che ne facciano richiesta. In ogni caso, i dati sono rilasciati in forma anonima.
Note
[1] https://www.istat.it/it/censimenti-permanenti/censimenti-precedenti/industria-e-servizi/imprese-2011.
[2] https://www.istat.it/it/archivio/238337
[3] Fellegi I.P., Holt D. (1976) “A systematic approach to edit and imputation“, Journal of the American Statistical Association, vol.71, pp.17-35.
[4] https://www.istat.it/it/files/2011/03/manualeconcord.pdf
[i] La prima edizione è stata condotta a maggio 2020 e la seconda a novembre dello stesso anno.
[ii] Le imprese aperte, parzialmente aperte e chiuse che prevedono di riaprire costituiscono le imprese attive
[iii] Ad esempio limitata negli spazi, negli orari e nell’accesso alla clientela.
[iv] Le strategie di riorganizzazione includono interventi di adeguamento alla transizione energetica e spinta alla sostenibilità, l’accelerazione della transizione digitale e la riorganizzazione dei processi e degli spazi di lavoro. Le strategie sul mix di prodotti/servizi e dei mercati di destinazione comprendono la produzione di nuovi beni/servizi e la variazione dei prodotti esportati e dei mercati esteri di destinazione. Gli interventi su forniture e filiere si riferiscono alla modifica dei fornitori e degli input produttivi e alla intensificazione delle relazioni esterne dell’impresa (incluse le nuove partnership). Le strategie orientate al capitale umano prevedono il miglioramento della qualità del personale (formazione o assunzione di personale con skill più elevati e la variazione del numero di dipendenti. Gli interventi radicali, infine, includono il cambiamento dell’attività produttiva o la variazione dell’assetto proprietario dell’impresa.
[v] L’indicatore è costruito a partire dall’aggregazione dei punteggi che le imprese hanno assegnato alle diverse tipologie di investimenti. In questo modo, per ogni impresa si ottiene un valore compreso fra 6 e 18. In questo contesto, sono definite a bassa propensione le imprese con un valore dell’indicatore uguale o inferiore a 9, a media propensione quelle che presentano un punteggio compreso fra 10 e 13, mentre sono ad alta propensione le unità produttive con un valore uguale o superiore a 14.
[vi] Si veda Istat, Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19, dicembre 2020, disponibile on line in: https://www.istat.it/it/files//2020/12/REPORT-COVID-IMPRESE-DICEMBRE.pdf.
[vii] I dati 2020 presenti in questa nota sono pubblicati in https://www.istat.it/it/archivio/251618.
[viii] Il Registro di riferimento per il calcolo dei pesi campionari finali è l’archivio Asia 2020 anticipato. Il totale delle imprese rispondenti valide e incluse nel campo d’osservazione per la rilevazione è pari a 39.750.