In occasione della giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, l’Istat propone alcuni risultati delle indagini finora condotte nell’ambito del progetto, tuttora in corso, svolto in collaborazione con UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), sul tema delle “Discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ e le diversity policies attuate presso le imprese”. Il progetto prevede indagini riferite a imprese, stakeholder e differenti gruppi di popolazione LGBT+.
L’indagine sul diversity management nelle imprese si è svolta a fine 2019 e i risultati sono stati pubblicati a novembre 2020. La prima delle tre rilevazioni indirizzate alle persone LGBT+ (dedicata alle persone in unione civile o già in unione) si è conclusa nel 2021 e i risultati sono stati diffusi a marzo di quest’anno; le altre due indagini, dedicate rispettivamente alle persone LGB che non sono in unione civile e non lo sono state in passato, e alle persone transgender, sono tuttora in corso di realizzazione.
SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI
- Secondo i dati dell’“Indagine sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ in unione civile o unite in passato” realizzata nel 2020-2021, il 26% delle persone che si dichiarano omosessuali o bisessuali afferma che il proprio orientamento sessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti considerati (retribuzione, avanzamenti di carriera, riconoscimento delle capacità professionali). Il 12,6% non si è presentato a un colloquio di lavoro o non ha fatto domanda poiché pensava che l’ambiente lavorativo sarebbe stato ostile al suo orientamento sessuale. Questi dati sono riferibili solamente a una piccola parte della popolazione LGBT+ (le persone in unione civile o già in unione), il segmento più propenso a vivere il proprio orientamento sessuale in una dimensione pubblica.
- Nel 2019, il 5,1% delle imprese con almeno 50 dipendenti dell’Industria e dei Servizi ha adottato almeno una misura, non obbligatoria per legge, volta a favorire l’inclusione dei lavoratori LGBT+. La quota sale al 14,6% tra le imprese con almeno 500 dipendenti. Le misure più diffuse sono quelle destinate ai lavoratori transgender, in particolare la presenza di servizi igienici, spogliatoi, ecc. che consentano un utilizzo coerente con la propria identità di genere (3,3% delle imprese). Poco diffusi gli eventi formativi sui temi legati alle diversità LGBT+ rivolti al top management (1,3%) e ai lavoratori (1,2%). Solo il 2,9% delle imprese non ancora attive sul versante LGBT+ afferma di voler implementare tali misure o strumenti nei tre anni successivi al 2019.
- Stakeholder e persone LGBT+ in unione civile o ex-unite, intervistate nell’ambito del progetto, ritengono fondamentale un cambiamento culturale. A tal fine sostengono siano necessarie attività di formazione sulle tematiche LGBT+ dedicate a differenti attori (datori di lavoro, operatori sanitari, insegnanti, dipendenti pubblici, ecc.), ma soprattutto iniziative più generali di educazione, informazione e sensibilizzazione da realizzarsi anche nelle scuole. Un ampio accordo viene espresso in favore di una legge nazionale contro l’omolesbobitransfobia, sui diritti per le famiglie LGBT+, tra cui il riconoscimento legale di entrambi i genitori per i figli di coppie omogenitoriali. Viene inoltre segnalata la carenza di leggi e iniziative a favore delle persone transgender, non binarie e intersessuali.
Ancora svantaggi sul lavoro per l’orientamento sessuale
L’Indagine sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ rivolta alle persone in unione civile o già in unione (vedi glossario), ha coinvolto oltre 21 mila individui in unione civile o già in unione residenti in Italia[1]. Fra gli intervistati che vivono abitualmente in Italia il 95,2% dichiara un orientamento omosessuale o bisessuale: persone gay (65,2%), lesbiche (28,9%), bisessuali donne (4,2%), bisessuali uomini (1,7%). Per il restante 4,8%, lo 0,2% dichiara un orientamento asessuale, l’1,3% un altro orientamento, la quota rimanente preferisce non rispondere.
Si tratta di un target specifico di popolazione LGBT+ che presenta caratteristiche particolari e un grado elevato di apertura o visibilità rispetto al proprio orientamento sessuale. La quasi totalità è costituita da persone di cittadinanza italiana, in maggioranza uomini (66,9%), individui di età avanzata (il 43,6% ha 50 anni e oltre), con una concentrazione nel Nord del Paese (61,2%) e un livello di istruzione elevato (il 38,8% ha conseguito almeno la laurea). Tale popolazione mostra una buona partecipazione al mercato del lavoro (il 77% è occupato e il 22,5% lo è stato in passato); il lavoro dipendente è la modalità di impiego prevalente e il settore terziario quello più rappresentato, in particolare tra le donne.
Tuttavia, il 12,6% afferma di non essersi presentato a un colloquio di lavoro o non aver fatto domanda perché pensava che l’ambiente di lavoro sarebbe stato ostile al suo orientamento sessuale. Oltre un individuo su cinque (il 26%) tra le persone, in unione civile o già in unione, omosessuali o bisessuali, occupate o ex-occupate, ritiene che l’orientamento sessuale abbia costituito un elemento di svantaggio nel lavoro, soprattutto in termini di carriera, riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità, in maniera meno importante per quanto riguarda la retribuzione.
Tra i lavoratori dipendenti o ex-dipendenti tale svantaggio aumenta al crescere della dimensione organizzativa (persone occupate nell’azienda/ente) e nel settore privato, così come in presenza di strumenti di diversity management, laddove politiche di inclusione sembrano portare a una più diffusa cultura e consapevolezza tra i lavoratori su tali temi.
Nel complesso, l’attitudine a vivere in una dimensione pubblica il proprio orientamento sessuale in ambito lavorativo è elevata, tanto che la stragrande maggioranza dichiara che il proprio orientamento sessuale è o era noto, nell’attuale o ultima occupazione, almeno a una parte delle persone dell’ambiente lavorativo (92,5%), soprattutto ai pari grado (84,5%).
Circa una persona su tre riporta episodi di outing, ovvero di disvelamento non consensuale a terzi dell’orientamento sessuale, mentre il 40,3% ha evitato di parlare della sua vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale.
Particolarmente diffuso è il fenomeno delle micro-aggressioni nell’attuale/ultimo lavoro legate all’orientamento sessuale, infatti, il 61,8% riporta di avere subito almeno un episodio di tale tipo da parte di persone dell’ambiente lavorativo, nell’attuale o ultima occupazione svolta. Le esperienze più frequenti riguardano l’uso di un linguaggio offensivo o dispregiativo, scherno, domande sulla vita sessuale, avance sessuali non gradite.
Diffuse le discriminazioni soprattutto tra i giovani
Una percentuale elevata (il 46,9%) delle persone in unione civile o già in unione, omosessuali o bisessuali, ha subito almeno un evento discriminatorio a scuola/università, non necessariamente in relazione al proprio orientamento sessuale (Figura 1).
Il fenomeno è più diffuso tra i giovani (il 61,6% dei 18-34enni), a conferma della delicata fase di formazione che precede l’inserimento nel mondo del lavoro e i possibili effetti che questa può avere sui successivi percorsi di studio e lavoro.
FIGURA 1. DISCRIMINAZIONE E CLIMA OSTILE NEL PERCORSO DI LAVORO (a). Anni 2020-2021*, valori percentuali
* Gli anni indicati si riferiscono al periodo in cui è stata effettuata la rilevazione.
(a) Almeno un sì agli episodi di discriminazione e clima ostile rilevati nel questionario, indicati dalle persone in unione civile o ex-unite, che vivono abitualmente in Italia, omosessuali e bisessuali, per ambito sui rispettivi totali. La domanda relativa alle discriminazioni a scuola o università è stata rivolta alle persone in unione o ex-unite, omosessuali e bisessuali, che vivono abitualmente in Italia e hanno svolto il percorso di studi in Italia (tutto o in parte); la domanda relativa alle discriminazioni in fase di ricerca di lavoro è stata rivolta alle persone in unione o ex-unite, omosessuali e bisessuali, che vivono abitualmente in Italia e sono occupate in Italia o il cui ultimo lavoro era stato svolto in Italia o che non sono mai state occupate; la domanda relativa alle discriminazioni nello svolgimento di un lavoro dipendente è stata rivolta alle persone in unione o ex-unite, omosessuali e bisessuali, che vivono abitualmente in Italia e che sono attualmente occupate come dipendenti o sono ex-dipendenti (per gli ex-occupati) in Italia; la domanda relativa al clima ostile in ambito lavorativo è stata rivolta alle persone in unione o ex-unite, omosessuali e bisessuali, che vivono abitualmente in Italia, occupate o ex-occupate in Italia.
Fonte: Istat, Indagine sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ (in unione civile o già in unione). Anni 2020-2021
Per quanto riguarda la discriminazione in fase di accesso al lavoro, una persona su tre dichiara di aver vissuto tale esperienza; invece, con riferimento allo svolgimento del proprio lavoro, il 34,5% dei dipendenti o ex-dipendenti dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione.
Infine, il 20,8% degli occupati o ex-occupati riporta almeno uno degli episodi di clima ostile, incluse aggressioni in ambito lavorativo che vengono indicate dall’1,1% dei rispondenti. Si tratta sempre di esperienze ascrivibili a una pluralità di caratteristiche, tra cui l’orientamento sessuale. L’identità di genere viene riportata, tra i motivi per i quali si ritiene di essere stati discriminati, da una quota molto contenuta di questo segmento di popolazione.
Coloro che hanno subito discriminazioni o episodi di clima ostile in ambito lavorativo ne parlano, generalmente in maniera informale con altre persone, mentre è meno diffuso il reporting di tali eventi a organi e figure preposte (Figura 2).
Circa sei dei dipendenti o ex-dipendenti su 10 hanno parlato dell’ultimo evento di discriminazione accaduto con persone dell’ambiente lavorativo, più frequentemente con colleghi di pari grado (il 42,2%) e con datori di lavoro e superiori (il 24,4%), ma è soprattutto con familiari (60,8%) e amici (53,7%) che ci si confronta.
Il 10,5% ne ha parlato con le organizzazioni sindacali, il 6% con un avvocato/servizio di assistenza legale e l’1,4% con associazioni LGBT+. La quota di chi si è rivolto ad altri organi è residuale (0,7% al comitato di pari opportunità o consigliere di fiducia, 0,3% alla consigliera di parità, 0,2% alle forze dell’ordine). Una situazione simile si osserva per gli eventi di clima ostile
FIGURA 2. DISCRIMINAZIONE NELL’ATTUALE/ULTIMO LAVORO DIPENDENTE E SOGGETTI CON CUI NE HA PARLATO (a). Anni 2020-2021*, valori percentuali
* Gli anni indicati si riferiscono al periodo in cui è stata effettuata la rilevazione.
(a) Quota di persone in unione civile o ex-unite che vivono abitualmente in Italia, omosessuali e bisessuali, attualmente occupate come dipendenti o sono ex-dipendenti (per gli ex-occupati) in Italia e che hanno vissuto almeno un evento di discriminazione nell’ambito dell’attuale/ultimo lavoro dipendente, per tipo di attore con cui ne hanno parlato sul rispettivo totale.
Fonte: Istat, Indagine sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ (in unione civile o già in unione). Anni 2020-2021
Nel complesso, il 17,4% di chi ha subito discriminazione nell’attuale/ultimo lavoro dipendente ha intrapreso una qualche azione (legale, di conciliazione sindacale, ne ha parlato con i responsabili, ha chiesto che venissero presi provvedimenti nei confronti dei responsabili, ha cambiato lavoro/ufficio/mansioni o altro tipo di azione). La percentuale sale leggermente tra chi ha vissuto invece un evento di “clima ostile” in ambito lavorativo, riguardando una persona su quattro.
Più in generale, oltre il 68,2% afferma di aver evitato di tenersi per mano in pubblico con un partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato; tale evidenza mostra la netta percezione di vivere in un contesto sfavorevole; per lo stesso motivo il 52,7% ha evitato di esprimere il proprio orientamento sessuale.
Relativamente agli ultimi tre anni ed escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, il 3,1% delle persone in unione civile o già in unione che vivono abitualmente in Italia e si sono definite omosessuali o bisessuali, ha affermato di aver subito aggressioni a causa dell’orientamento sessuale; per lo stesso motivo il 3,9% ha ricevuto minacce. Le offese legate all’orientamento sessuale ricevute via web sono invece segnalate dal 13% degli intervistati.
Tali dati, si ricorda, non possono essere considerati rappresentativi dell’intera popolazione LGBT+, ma di una piccola parte che ha voluto unirsi civilmente e che si caratterizza per un’elevata visibilità rispetto al proprio orientamento sessuale.
FIGURA 3. MINACCE, OFFESE E AGGRESSIONI PER MOTIVI LEGATI ALL’ORIENTAMENTO SESSUALE NEGLI ULTIMI TRE ANNI AVVENUTE AL DI FUORI DEL CONTESTO LAVORATIVO (a). Anni 2020-2021*, valori percentuali
* Gli anni indicati si riferiscono al periodo in cui è stata effettuata la rilevazione.
(a) Quota di persone in unione civile o ex-unite che vivono abitualmente in Italia, omosessuali e bisessuali, e dichiarano di aver subito, negli ultimi tre anni, minacce, offese via social e aggressioni, escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, per motivi legati al proprio orientamento sessuale sul rispettivo totale
Fonte: Istat, Indagine sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ (in unione civile o già in unione). Anni 2020-2021
Grandi imprese più attive nel diversity management
In base ai dati del modulo ad hoc del 2019[2], tra le imprese con almeno 50 dipendenti dell’Industria e dei Servizi, la disabilità (15,9%) e il genere (12,7%) sono gli ambiti prevalenti, non obbligatori per legge, di applicazione del diversity management (DM); seguono le misure legate alle diversità per età (10,4%), cittadinanza, nazionalità e/o etnia (9,7%) e alle convinzioni religiose (9%). Le imprese di grandi dimensioni sono più attive; infatti, per tutti gli ambiti indicati la quota è più elevata, arrivando a riguardare, per le differenze di genere e disabilità, un’impresa su quattro fra quelle con almeno 500 dipendenti (Figura 4).
Considerando sempre le iniziative che vanno oltre gli obblighi di legge, nel 2019 solo il 5,1% delle imprese (pari a oltre 1.000 imprese) ha adottato almeno una misura per favorire l’inclusione LGBT+. La dimensione d’impresa si conferma un fattore discriminante per cui si passa dal 4,4% delle imprese di 50-499 dipendenti al 14,6% di quelle di dimensioni maggiori.
Nel complesso, solo il 3,5% delle imprese ha adottato misure non obbligatorie per legge per gestire e valorizzare le diversità tra i lavoratori legate a tutti i fattori considerati ossia il genere, l’età, la cittadinanza, la nazionalità e/o l’etnia, le convinzioni religiose, la disabilità, l’orientamento sessuale o identità di genere (il 10,9% delle imprese con almeno 500 dipendenti).
FIGURA 4. MISURE DI DIVERSITY MANAGEMENT, NON OBBLIGATORIE PER LEGGE*, ADOTTATE DALLE IMPRESE (a). Anno 2019, valori percentuali
(a) Quota di imprese dell’Industria e Servizi con almeno 50 dipendenti che hanno adottato almeno una misura di diversity management per ambito di diversity e classe dimensionale sul totale delle impresse dell’Industria e Servizi con almeno 50 dipendenti
*Per le diversità LGBT+ il dato deriva da una domanda del questionario articolata in diversi item mentre per gli altri ambiti di diversity le imprese hanno risposto alla domanda se l’impresa adottava misure, ulteriori rispetto a quelle obbligatorie per legge, per gestire e valorizzare la specifica diversità indagata potendo indicare sì o no
Fonte: Istat, Fonte: Istat, Rilevazione VELA e OCC1, Modulo ad hoc 2019
Nel dettaglio, le misure maggiormente adottate, nel 2019, per la valorizzazione e gestione delle diversità LGBT+ sono quelle destinate ai lavoratori transgender. In particolare, la possibilità di usare servizi igienici, spogliatoi, ecc. in modo coerente con la propria identità di genere è attuata dal 3,3% delle imprese; seguono le iniziative che garantiscono ai lavoratori transgender il diritto di esprimere la loro identità di genere in maniera visibile (2%) e le misure ad hoc a tutela della privacy dei lavoratori transgender che hanno intrapreso il percorso di transizione prima di entrare nell’impresa (1,6%).
La realizzazione di iniziative di promozione della cultura d’inclusione e valorizzazione delle diversità LGBT+ rappresenta la seconda misura più frequente (2,1%). Ancora poco diffusi gli eventi formativi sui temi legati alle diversità LGBT+ rivolti al top management (1,3%) e ai lavoratori (1,2%) così come permessi, benefit e altre misure specifiche per i lavoratori LGBT+, adottati in maniera molto residuale. Per tutte le misure la diffusione è maggiore in imprese di più grandi dimensioni.
Al di là delle misure intraprese e delle iniziative adottate, gli strumenti di DM per le diversità LGBT+ sono ancora poco utilizzati dalle imprese: il 15,4% ha formalizzato in uno o più documenti interni l’adesione ai principi di non discriminazione e inclusione dei lavoratori LGBT+, con una percentuale che arriva al 34,1% per le imprese con 500 dipendenti e più. Nel 2,9% dei casi nelle imprese è presente un’unità organizzativa che si occupa anche delle diversità, incluse le diversità LGBT+ e solo l’1,9% delle imprese ha previsto una figura professionale che si occupa delle diversità, incluse le diversità LGBT+ (rispettivamente 13,3% e 10,6% tra le imprese più grandi).
Inoltre, il motivo maggiormente indicato dalle imprese a motivazione dell’adozione di misure e/o strumenti per le diversità LGBT+ non obbligatori per legge è quello di prevenire atti discriminatori all’interno dell’impresa (segnalato da circa metà delle imprese), seguito dalla volontà di favorire il benessere, la soddisfazione e la motivazione dei lavoratori.
Le imprese che non hanno mai adottato misure o strumenti per le diversità LGBT+, in quasi otto casi su 10 motivano tale scelta sulla base del fatto che “non ne è emersa la necessità”; seguono motivazioni del tipo: “le misure di legge già approvate sono sufficienti”, “l’ambiente di lavoro è già inclusivo”, “l’inclusione LGBT+ non richiede misure ulteriori rispetto a quelle destinate a tutti i lavoratori”. Solo il 2,9% pensa di implementare, nei prossimi tre anni, misure o strumenti di DM per le diversità LGBT+.
Imprese veicolo del cambiamento culturale, ma permane il ruolo cruciale delle istituzioni
Gli stakeholder intervistati sottolineano come le politiche di pari opportunità, inclusione e diversity management negli ambienti di lavoro siano azioni auspicabili quando non si risolvono esclusivamente con una formalizzazione di principi, ma riescono a favorire un cambiamento di tipo culturale; in tal modo si trasformano in pratiche e quindi concorrono alla costruzione di contesti di lavoro inclusivi, tali da facilitare ad esempio il coming out.
Le imprese possono essere veicolo di tale cambiamento culturale, ma per la maggior parte degli stakeholder intervistati il principale attore che deve favorire lo sviluppo di una cultura delle differenze è l’istituzione pubblica, lavorando in sinergia con altri attori (es. associazioni e network di lavoratori, sindacati), in primo luogo tramite la realizzazione di attività di formazione alle diversità.
Ciò trova riscontro nell’opinione espressa dalle persone omosessuali e bisessuali, in unione civile o già in unione intervistate (Figura 5). Una larga maggioranza ritiene infatti che per favorire l’inclusione delle persone LGBT+ nel mondo del lavoro in Italia siano urgenti attività di formazione, sensibilizzazione o campagne sulle diversità LGBT+ in ambiti lavorativi da parte delle istituzioni pubbliche (71,7%).
Nella graduatoria delle azioni auspicabili seguono interventi legislativi (52,6%) e azioni di indirizzo da parte dell’Unione europea o altri organismi sovranazionali (44,6%) e, con un notevole distacco, iniziative e interventi degli organismi di parità e tutela preposti (26,2%) e l’impegno sindacale (es. contrattazione, formazione delle rappresentanze sindacali, eventi e iniziative culturali) (22,2%). Meno dell’1% afferma che non è necessaria alcuna azione.
FIGURA 5. AZIONI RITENUTE URGENTI PER FAVORIRE L’INCLUSIONE DELLE PERSONE LGBT+ NEL MONDO DEL LAVORO IN ITALIA (a). Anni 2020-2021*, valori percentuali
* Gli anni indicati si riferiscono al periodo in cui è stata effettuata la rilevazione.
(a) Quota di persone in unione civile o ex-unite che vivono abitualmente in Italia, omosessuali e bisessuali, e ritengono urgente adottare azioni per favorire l’inclusione delle persone LGBT+ nel mondo del lavoro per tipo di azione sul rispettivo totale.
Fonte: Istat, Indagine sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ (in unione civile o già in unione). Anni 2020-2021
Stakeholder e persone LGBT+ in unione civile e ex-unite, intervistate nell’ambito del progetto, ritengono fondamentale adottare misure e azioni a carattere più generale che possano avere effetti su differenti contesti di vita, inclusa la sfera lavorativa. Attività di formazione alle tematiche LGBT+ devono essere dedicate a differenti attori (datori di lavoro, operatori sanitari, insegnanti, dipendenti pubblici, ecc.), ma soprattutto sono ritenute necessarie iniziative di educazione, informazione e sensibilizzazione alle tematiche LGBT+ a partire dalle scuole.
Ampio accordo è dato a favore di una legge nazionale contro l’omolesbobitransfobia, diritti per le famiglie LGBT+ tra cui il riconoscimento legale di entrambi i genitori per i figli di coppie omogenitoriali. Viene inoltre segnalata la carenza di leggi e iniziative a favore delle persone transgender, non binarie e intersessuali e l’importanza di una lettura intersezionale delle differenze.
GLOSSARIO
Bisessuale: persona attratta sia da persone di un sesso diverso che uguale al proprio.
Clima ostile in ambito lavorativo: fa riferimento ad almeno un sì alle risposte ai seguenti quesiti: essere stato/a: a) calunniata, derisa o le abbiano fatto degli scherzi pesanti; b) umiliata o presa a parolacce; esclusa volutamente da riunioni, conversazioni, ecc.; offesa, anche facendole offerte di tipo sessuale; minacciata in forma verbale o scritta; privata totalmente di compiti da svolgere; sottoposta a controlli disciplinari immotivati; aggredita fisicamente.
Coming out: espressione usata per indicare la decisione di dichiarare la propria identità LGBT+, il percorso che una persona compie nel prendere coscienza del proprio orientamento sessuale e/o identità di genere e dichiararlo volontariamente all’esterno.
Diversity e/o inclusion manager: figura professionale che si occupa della gestione e valorizzazione delle diversità/differenze dei lavoratori nelle organizzazioni.
Discriminazione: trattamento meno favorevole rispetto a quello ricevuto da altri e dovuto ad alcune caratteristiche personali (es. età, origini straniere, aspetto esteriore, stato di salute, convinzioni religiose o idee politiche, genere, orientamento sessuale, identità di genere ecc.).
Discriminazione a scuola/università: si intende almeno un sì alle risposte ai seguenti quesiti: essere sfavorito/a agli esami o alle interrogazioni, essere stato/a emarginato/a, isolato/a, tenuto/a in disparte, essere stato/a offeso/a, preso/a in giro, trattato/a male, ridicolizzato/a.
Discriminazione nell’accesso al lavoro: si intende almeno un sì alle risposte ai seguenti quesiti a: a) le abbiano offerto il lavoro, ma senza contratto; b) non le abbiano dato il lavoro anche se aveva requisiti simili ad altri candidati; c) Le abbiano proposto una retribuzione inferiore a quella prevista per le stesse mansioni; d) le abbiano proposto mansioni inferiori a quelle per cui aveva fatto domanda e per le quali era qualificato/a; e) non le sia stato concesso di partecipare alla selezione/di fare domanda per un posto nonostante avesse i titoli.
Discriminazione nel lavoro dipendente: si intende almeno un sì alle risposte ai seguenti quesiti a: a) che le siano state affidate mansioni inferiori alla sua qualifica o compiti meno importanti rispetto ai colleghi (anche se in grado di portarli a termine come o meglio di loro), b) che la sua retribuzione sia stata inferiore a quella prevista per la mansione svolta o a quella percepita dai suoi colleghi con le stesse mansioni o qualifiche, c) che non le siano stati concessi promozioni o avanzamenti di carriera, aumenti di stipendio o premi che meritava, d) che le sia stato negato l’accesso a percorsi di formazione professionale concesso ad altri colleghi, e) che le siano stati affidati carichi di lavoro eccessivi o penalizzanti (es. lunghi turni o orari), f) che i risultati raggiunti o le sue capacità siano state sminuite o valutate negativamente dai suoi superiori, colleghi di pari grado o persone di grado inferiore al suo, g) che le siano stati rifiutati congedi o permessi (parentali o di altra natura), h) che non abbia fatto richiesta di congedi o permessi per evitare che le fossero rifiutati o si creasse un clima sfavorevole nei suoi confronti, i) di essere stato messo/a in cassa integrazione (o in prepensionamento per gli ex-occupati), l) che non le abbiano rinnovato il contratto o non le abbiano trasformato il contratto da tempo determinato a indeterminato, anche se era possibile farlo, m) di essere messo/a in condizione di dare le dimissioni o licenziato/a (per gli ex-occupati).
Già in unione civile: persona che non è più in unione civile per scioglimento dell’unione oppure per decesso del partner.
Identità di genere: percezione di sé, senso di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, o alle identità non binarie e fluide, indipendentemente dal sesso assegnato alla nascita.
Intersessuale: persona che nasce con caratteristiche fisiche, ormonali o genetiche che non sono né interamente femminili né interamente maschili; si tratta di caratteristiche sessuali primarie o secondarie che non corrispondono alle definizioni “standard” di maschio o femmina. Esistono diverse forme di intersessualità; è uno spettro piuttosto che una singola categoria.
Legge sull’omobitransfobia: legge che contrasta e punisce le discriminazioni e le violenze legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Alcune Regioni italiane hanno legiferato in tal senso.
LGBT+: acronimo che indica le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Il simbolo + viene usato per includere tutte le altre diversità/differenze di orientamento sessuale, identità di genere e l’intersessualità.
Misure di diversity management (DM) non obbligatorie per legge: politiche, pratiche, iniziative, formalizzate e non formalizzate, intraprese dall’impresa per gestire e valorizzare le diversità/differenze dei lavoratori. Si fa riferimento a misure ulteriori rispetto a quelle previste per legge.
Micro-aggressioni: sono definite in letteratura come brevi interscambi quotidiani che inviano messaggi denigratori ad alcuni individui in quanto facenti parte di un gruppo, insulti sottili (verbali, non verbali, e/o visivi) diretti alle persone spesso in modo automatico o inconscio.
Omosessuale: persona attratta da persone dello stesso sesso.
Orientamento sessuale: indica la direzione dell’attrazione sessuale e/o dell’affettività di una persona.
Outing: atto del rivelare l’orientamento sessuale (o identità di genere) di un’altra persona senza averne prima acquisito il consenso.
Stepchild adoption: istituto giuridico che consente al genitore non biologico di adottare il figlio, biologico o adottivo, del partner sia in una coppia omosessuale che eterosessuale.
Strumenti di diversity management (DM), non obbligatori per legge: strumenti ulteriori rispetto agli obblighi di legge, adottati dall’impresa per gestire e valorizzare le diversità/differenze dei lavoratori, quali, ad esempio, la formalizzazione dell’adesione dell’impresa ai principi di non discriminazione e inclusione dei lavoratori LGBT+ in uno o più documenti interni, la presenza di una figura professionale e/o di un’unità organizzativa che si occupa delle diversità, incluse le diversità LGBT+, e il sostegno a un gruppo interno che si occupa delle diversità LGBT+.
Transgender: persona con un’identità di genere (o espressione di genere) che non corrisponde a quella che la società associa al suo sesso biologico; include sia persone con un’identità di genere binaria sia con identità di genere non binaria (transessuali, genderqueer, genderfluid, ecc.). Utilizzato nell’indagine come sinonimo di persona trans/con identità di genere non binaria.
Unione civile: con l’emanazione della Legge 20 maggio 2016, n. 76 sulla “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, è stata introdotta in Italia l’istituzione di unioni tra persone dello stesso sesso e delle convivenze di fatto.
NOTA METODOLOGICA
I contenuti di questo Report si basano sui dati finora prodotti nell’ambito del progetto di ricerca Istat-UNAR sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ e le diversity policies attuate presso le imprese, che rientra tra le attività previste dall’accordo di collaborazione tra i due enti stipulato il primo marzo del 2018.
L’accordo si pone l’obiettivo di contribuire a colmare un gap informativo producendo un articolato quadro informativo su “Accesso al lavoro, condizioni lavorative e discriminazioni sul lavoro delle persone LGBT+ e sulle diversity policies attuate presso le imprese”. L’accordo è sostenuto da un finanziamento garantito dalla disponibilità a valere sui fondi assegnati nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (PON) inclusione 2014-2020, cofinanziato dal Fondo Strutturale Europeo (FSE), e in particolare dall’Asse 3 (Sistemi e modelli d’intervento sociale) e dall’Asse 4 (Capacità amministrativa) di competenza dell’UNAR. L’Asse 3 del PON 2014 – 2020 (Sistemi e modelli di intervento sociale) prevede un’azione per l’incremento dell’occupabilità e della partecipazione al mercato del lavoro delle persone maggiormente vulnerabili. L’Asse 4 (Capacità amministrativa) prevede un’azione mirata all’aumento della trasparenza, dell’interoperabilità e dell’accesso ai dati pubblici.
Il progetto si caratterizza per un approccio di ricerca di tipo misto (quanti-qualitativo) e per l’intento di indagare i fenomeni oggetto di indagine da più prospettive (persone LGBT+, datori di lavoro, stakeholder).
Nel dettaglio il progetto si articola in due macro-aree di attività che prevedono la raccolta diretta di informazioni presso le persone LGBT+ (A) e la raccolta di informazioni presso i datori di lavoro, in particolare le imprese, e i principali stakeholder (B).
La prima macro-area del progetto (A) intende fornire un quadro conoscitivo sul fenomeno delle discriminazioni lavorative legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere e, più in generale, ha lo scopo di indagare la situazione delle persone LGBT+ nel mercato del lavoro. Per rendere completo tale quadro informativo sono previste più indagini tramite tecnica CAWI. La prima indagine, realizzata nel 2020-2021 è stata rivolta a tutte le persone in unione civile o unite in passato.
Sono in corso di realizzazione un’indagine rivolta alle persone LGBT+ non unite civilmente e che non lo sono state in passato e un focus sulle persone transgender.
La seconda macro-area del progetto (B) si propone di indagare il punto di vista delle imprese (datori di lavoro) e dei principali stakeholder, operanti perlopiù su scala nazionale e appartenenti a diverse realtà (ad esempio associazioni di categoria, associazioni LGBT+ attive sui temi dell’inclusione lavorativa e contrasto alle discriminazioni in ambito lavorativo, sindacati, reti di lavoratori LGBT+, pubblica amministrazione e istituzioni che hanno competenza in materia, organismi di parità e osservatori attivi sul tema), con riferimento al tema delle discriminazioni lavorative per orientamento sessuale e identità di genere e alle politiche di diversity management per le diversità LGBT+.
Nel 2019 è stato inserito un modulo ad hoc sul diversity management (DM) per le diversità LGBT+ nelle indagini Istat “Rilevazione mensile sull’occupazione, orari di lavoro, retribuzioni e costo del lavoro nelle grandi imprese” (OCC1/Grandi Imprese) e “Indagine trimestrale su posti vacanti e ore lavorate” (VELA). L’approfondimento ha riguardato le imprese con almeno 50 dipendenti dell’Industria e dei Servizi.
Nel 2019-2020 sono state realizzate interviste semi-strutturate rivolte ad alcuni stakeholder individuati tra i diversi attori, operanti per lo più a livello nazionale o scelti in quanto esemplificativi di alcune politiche/pratiche. Venti dei trentadue stakeholder coinvolti hanno risposto alla lettera ufficiale di invito e hanno accettato di realizzare l’intervista, per i rimanenti non è stato possibile portare a conclusione l’intervista per motivi vari inerenti anche alla mancanza di informazioni sulla tematica.
Alcuni dei temi affrontati sono diffusione e forme del fenomeno discriminatorio e del livello di inclusione/esclusione in ambito lavorativo delle persone LGBT+; esistenza di misure, strumenti e iniziative per favorire l’inclusione e la valorizzazione delle persone LGBT+ negli ambienti di lavoro; politiche e strumenti di tutela attualmente esistenti a favore dei lavoratori LGBT+; azioni auspicabili per favorire l’inclusione e la valorizzazione delle persone LGBT+ nel mondo del lavoro e contrastare le discriminazioni.
I principali risultati delle indagini e degli approfondimenti ad oggi realizzati nell’ambito del progetto sono illustrati nei report Istat-Unar: “Il Diversity management per le diversità LGBT+ e le azioni per rendere gli ambienti di lavoro più inclusivi – Anno 2019” (https://www.istat.it/it/files//2020/11/Diversity-e-inclusion-management-nelle-imprese-in-Italia-2019.pdf); “L’Indagine Istat-Unar sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone lgbt+ (in unione civile o già in unione) – Anni 2020-2021”
(https://www.istat.it/it/files//2022/03/REPORTDISCRIMINAZIONILGBT_2022.pdf).
È possibile consultare tali report per maggiori dettagli metodologici relativi alle indagini finora realizzate.
[1] Su un totale di oltre 21mila persone in unione o già in unione civile, il 99,4% ha dichiarato di vivere abitualmente in Italia. Per approfondimenti si veda https://www.istat.it/it/archivio/268470.
[2] Tale modulo è stato inserito occasionalmente nelle indagini Istat “Rilevazione mensile sull’occupazione, orari di lavoro, retribuzioni e costo del lavoro nelle grandi imprese” (OCC1) e “Indagine trimestrale su posti vacanti e ore lavorate”, per approfondimenti si veda https://www.istat.it/it/archivio/250150