La nostra professione di consulenti di direzione e di organizzazione ci porta molto spesso ad un contatto diretto con imprenditore di piccole e medie imprese italiane che hanno molto spesso dichiarato di aver recepito l’avvento di Industria 4.0 come qualcosa di inapplicabile alla loro realtà.
La scarsa capacità di visione digitale di molti piccoli imprenditori della nostra manifattura (ricordiamolo siamo pur sempre la seconda in Europa) ha portato, dal 2013, cioè da quando è stata coniata la proposizione Industrie 4.0 in Germania, ad oggi a dei dati non troppo rincuoranti.
Recenti dati del Ministero dello Sviluppo Economico[1], risalenti al terzo trimestre del 2018, ci danno un quadro d’insieme attraverso la pubblicazione di un report d’indagine intervistando quasi 24mila PMI operative nel nostro Paese, attraverso un questionario.
Dal questionario del MISE , emerge un Italia che vuole investire nell’Industria 4.0, ma con profonde spaccature tra le piccole e medie imprese. Se da una parte l’8,4% delle aziende dichiara di aver già in uso nei propri sistemi produttivi una o più tecnologie riconducibili all’Industria 4.0 (ovvero robot collaborativi e interconnessi, stampanti 3d, realtà aumentata, simulazioni di sperimentazione e test virtuali, nanotecnologie e materiali intelligenti; integrazione elettronica dei dati e delle informazioni lungo le diverse fasi produttive dell’azienda e integrazione verticale con clienti e fornitori; Cloud, Big data/Analytics, Cyber Security e IoT.), e un altro 4,7% dichiara di avere già pensato a dei piani di investimenti per dotarsi di strumenti da Industria 4.0 nel giro di tre anni, va anche detto che le imprese che stanno guardando all’Industria 4.0 come ad uno strumento per la crescita sono solo quelle con più di 250 dipendenti.
Un dato che sconfessa ampiamente i proclami sull’Italia produttiva 4.0. O che, per lo meno, testimonia che la strada per la riconquista della competitività è solo appena iniziata – in effetti più avanti vedremo come le misure di rinnovamento aumentano e si stratificano, con differenze significative, però, soprattutto in base alla dimensione aziendale e alla propensione a innovare.
A conferma di quanto sopra detto dal report del MISE emerge che solo il 6% delle aziende fino a 9 dipendenti sta già usando o prevede di dotarsi di una tecnologia di ultima generazione entro tre anni per rivoluzionare il proprio sistema produttivo. Un divario enorme con le medie imprese fino a 250 dipendenti che nel 35% dei casi hanno già fatto un passo verso l’Industria 4.0 con l’acquisto di una o più tecnologie. Divario che aumenta ancora con le grandi aziende con più di 250 dipendenti dove la percentuale sale al 49%. Fin qui verrebbe da dire è normale, le grandi e medie imprese hanno una maggiore possibilità d’investimento e magari anche una visione migliore sul futuro del mondo del lavoro. Peccato però che in Italia le micro, piccole e medie imprese a non essersi ancora dotate di uno strumento innovativo da Industria 4.0 sono quasi l’87% del totale. Questo sottolinea come il nostro Paese sia profondamente in ritardo rispetto ad altre nazioni competitor nella crescita e nello sviluppo dell’Industria 4.0.
Altro dato che il MISE ha fornito riguarda la geografia delle imprese che hanno maggiormente adottato piani di trasformazione digitale delle proprie produzioni e anche su questo punto emerge il solito divario che vede il Centro-Nord che corre più velocemente rispetto al Mezzogiorno.
Ma a ben vedere, anche le imprese che entrano nei requisiti 4.0 sono in realtà in una fase solo embrionale della propria trasformazione: nella maggior parte dei casi, l’approccio a industria 4.0 non è olistico: 37,3% delle aziende che il Mise definisce 4.0 si avvale in realtà di una sola tecnologia (per lo più la stampa 3D) e il 25,1% di due.
Anche qui, la dimensione fa la differenza; nelle aziende con oltre 50 dipendenti la quota di quelle che hanno adottato almeno 4 tecnologie 4.0 sale al 60%. Un valore che certamente è destinato a crescere, con la big corporate che sta spianando la strada alle sorelle minori: anche perché indica un percorso conveniente alle imprese stesse, dato che le 4.0 sono quelle più propense a crescere. Infatti, il 36,2% ha assunto nuovo personale (contro il 16,4% delle imprese tradizionali) e la metà ha visto crescere il fatturato, mentre il 30% di quelle non 4.0 ne ha lamentato un calo.
Per le piccole e micro imprese l’unico vettore d’investimento sono i bandi e gli incentivi pubblici. Quasi il 100% delle imprese di piccole dimensioni intervistate ha attivato un piano di avvicinamento all’Industria 4.0 e ai suoi macchinari grazie a un finanziamento pubblico. In generale in Italia quasi il 60% delle aziende intervistate dal MISE dichiara di aver usato almeno una volta un incentivo pubblico. A conferma di come siano importanti queste misure di crescita per le PMI nostrane e che tali incentivi devono necessariamente essere strutturali per un periodo medio-lungo e non spot per uno o due anni.
Gli effetti positivi del piano Calenda e del proseguo della conferma degli incentivi del Piano Nazionale Industria 4.0 anche per il 2019 si sono sentiti e probabilmente continueranno ad esserci.
Un dato che conferma la bontà dei pacchetti Industria 4.0 e Impresa 4.0, varati nelle leggi di Bilancio 2017 e 2018 con il preciso obiettivo di stimolare la quarta rivoluzione in un’Italia – seconda manifattura in Europa e sesta nel mondo – depauperata di un quarto della sua ricchezza industriale in dieci anni di crisi, e molto indietro in un percorso di metamorfosi che è inevitabile se non si vuole soccombere.
I primi sono quelli sugli ordinativi di macchine industriali: Ucimu-SISTEMI PER PRODURRE ha già annunciato un 2018 in ulteriore incremento dopo un 2017 in cui l’industria italiana costruttrice di macchine utensili, robot e automazione ha fatturato oltre 9 miliardi di euro e l’Italia si è confermata quarta tra i produttori e quinta tra i consumatori di macchine. Più in dettaglio, nel 2017 la produzione, cresciuta del 9,6%, si è attestata a 6.085 milioni di euro. Il risultato è stato determinato sia dal positivo andamento delle consegne dei costruttori sul mercato interno, salite, del 17,4%, a 2.700 milioni, sia dall’export che, tornato di segno positivo, si è attestato a 3.385 milioni di euro, il 4,1% in più rispetto all’anno precedente. Per quello che riguarda l’anno in corso , Ucimu prevede che la produzione salirà del 9,3%, a 6.650 milioni di euro. Il consumo si attesterà a 5.070 milioni di euro, il 13,6% in più rispetto al 2017, trainando sia le consegne dei costruttori sul mercato domestico, attese in crescita del 15,2% a 3.110 milioni, sia le importazioni (1.960 milioni, +11,1%).
Davanti a noi abbiamo, insomma, ancora una prateria vastissima in cui doverci muovere per correre dietro il recupero della nostra leadership industriale.
Al ritardo rispetto all’adozione di tecnologie abilitanti Industria 4.0 si aggiunge il dato di fine 2018 con una contrazione del PIL al -0,2%[2] e un colpo d’occhio per il 2019 che rivede a ribasso le stime di crescita da parte di tutte le principali agenzie di rating, del nostro Paese, ad esempio Ficht[3] taglia da +1,1% a +0,3%, mentre Moody’s prevede una oscillazione tra 0% e +0,5%, rispetto alla previsione di +1,3% fatta lo scorso anno, un risultato praticamente vicino alla stagnazione.
Siamo di fronte ad un nuovo ciclo di recessione economica? Possibile, ma il punto non è la ricerca a tutti i costi dei dati congiunturali o delle politiche più o meno efficaci di sostegno delle imprese. Per una volta è necessario che le aziende italiane facciano un po’ di introspezione e verifichino meglio quali possono essere i fattori per aumentare la propria redditività, nonostante i periodi di crisi e l’avvicendarsi di Governi più o meno attenti alle esigenze reali del nostro sistema produttivo.
La digitalizzazione non significa necessariamente investimenti di milioni di euro, ma dal nostro punto di vista, significa semplicemente raccogliere dati per supportare il processo decisionale e lavorare su tre pilastri fondamentali: l’aumento della qualità del prodotto e del servizio, la diminuzione dei costi e dei tempi, adottando strumenti di monitoraggio digitali ed efficientare i propri processi. I risparmi connessi all’efficientamento interno rappresentano percentuali ben maggiori dell’ipotesi di crescita dello 0,3% del PIL e incidono, secondo alcuni studi condotti da blasonati gruppi di consulenza aziendale mondiali, per percentuali che arrivano anche all’8% in termini di risorse recuperate.
Si parla molto delle opportunità che sarebbero offerte dalla cosidetta “connected industrial workforce” , ovvero di un’industria manifatturiera del futuro che dovrebbe integrare personale, macchinari e intelligenza artificiale.
La quarta rivoluzione industriale potrebbe portare ad una rapida evoluzione nell’industria manifatturiera e nel mondo della produzione.
In questo articolo presentiamo tutte le caratteristiche attese dell’industria 4.0 e le possibili opportunità di sviluppo per le imprese italiane.
Siamo alla quarta rivoluzione industriale: dopo l’introduzione della macchina a vapore nel 1700, l’avvento dell’elettricità alla fine del 1800 e, dal secondo dopoguerra del XX secolo fino all’inizio del nuovo millennio, l’arrivo dell’elettronica e dell’informatica che hanno mutato radicalmente la vita quotidiana di noi tutti e soprattutto il modo di fare impresa, fa il suo ingresso un nuovo cambiamento epocale.
La cosiddetta Industry 4.0, o anche Smart Industry o ancora Advanced Manufactoring sembra ormai essersi affacciata sul tempo che viviamo e da questo momento sarà imprescindibile, per le aziende manufatturiere, non lasciarsi sfuggire l’opportunità di investire, da subito, sulle tecnologie digitali che permetteranno l’evoluzione del loro business.
Cosa significa quindi Industria 4.0? Si tratta in sostanza di un nuovo modello produttivo, in cui si avvia una rottura tecnologica caratterizzata dalla fusione tra il mondo reale degli impianti industriali e il mondo virtuale della cosiddetta “Internet of Things“.
In questa trasformazione attesa macchine, uomini, prodotti e sistemi saranno collegati lungo la catena del valore al di là della singola impresa: questi sistemi connessi (definiti anche come “cyberphysical system“) potranno interagire tra loro utilizzando protocolli Internet standard e potranno analizzare i dati per prevedere il fallimento degli eventi attesi e auto-configurarsi per adattarsi ai cambiamenti.
La raccolta e l’analisi dei dati, di cui oggi già si parla (big data, tecnologie cloud, etc.) renderà i processi produttivi più veloci, più flessibili e più efficienti al fine di produrre beni di qualità superiore e soprattutto a costi inferiori.
Tutto ciò non potrà che avere ricadute positive sull’economia e favorirà la crescita industriale, modificando il profilo della forza lavoro e cambiando la competitività delle imprese.
La nuova fabbrica sarà quindi digitale e flessibile, e sarà caratterizzata dai seguenti aspetti chiave:
- Esisterà un flusso di comunicazione interno ed esterno continuo ed in tempo reale tra tutte le postazioni di lavoro, integrando tutti i processi coinvolti
- La spinta verso una comunicazione continua e in tempo reale porterà alle linee produttive una capacità di autodiagnosi che permetterà il controllo a distanza della produzione
- I sistemi produttivi saranno estremamente flessibili e ciò consentirà di dimensionare continuamente la capacità produttiva in funzione della domanda instantanea di prodotto
- La catena di produzione potrà essere simulata in un ambiente virtuale, per testarla e anticipare il sorgere di eventuali problemi prima ancora che accadano
- La produzione sarà del tutto o quasi informatizzata e robotizzata
- La fabbrica sarà “smart” anche dal punto di vista energetico, perchè tenderà a controllare e ottimizzare l’energia richiesta dalla produzione, sprecando meno e spendendo meno
- Attraverso il cloud e un sistema software ERP l’enorme mole di dati generata dal sistema produttivo potrà essere analizzato e permetterà all’azienda di prendere decisioni basate su dati di fatto. Ad oggi sappiamo infatti che le aziende utilizzano solo l’1% dei dati a loro disposizione.
- All’uomo resterà il compito fondamentale di controllo e correzione dei parametri di produzione, oltre che fornire il suo apporto creativo, che si concretizzerà molto probabilmente all’interno di software che si interfacceranno direttamente con la linea di produzione (vedasi quello che già accade con i primi modelli di stampanti 3D)
Il cambiamento e il passaggio all’Industria 4.0 è già stato intravisto e preso in carico dalle istituzioni europee.
Nella sua Strategia europea per la «Digital Industrial Leadership» nel mercato unico digitale la Commissione europea segnala che circa il 40% dei cittadini Ue ha capacità digitali “insufficienti” o inesistenti.
La Commissione suggerisce azioni da prendere a livello nazionale e prevede di dedicare alla digitalizzazione e all’industria 4.0 per i prossimi cinque anni 500 milioni di euro, presi dal bilancio per la ricerca Horizon 2020.
In Europa dopo Germania e Francia, anche l’Italia nei mesi scorsi ha presentato un piano – “Industry 4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero” – nel quale ha indicato la propria strategia d’azione e tracciato otto aree di intervento per promuovere lo sviluppo della quarta rivoluzione industriale italiana:
- rilanciare gli investimenti industriali con particolare attenzione a quelli in ricerca e sviluppo, conoscenza e innovazione;
- favorire la crescita dimensionale delle imprese;
- sostenere la nuova imprenditorialità innovativa;
- definire protocolli, standard e criteri di interoperabilità condivisi a livello europeo;
- garantire la sicurezza delle reti e la tutela della privacy;
- assicurare adeguate infrastrutture di rete;
- diffondere le competenze per Industry 4.0;
- canalizzare le risorse finanziare.
I dati diffusi dall’Unione Europea parlano chiaro: vi è fortissima necessità di potenziamento del capitale umano per cogliere e sostenere il cambiamento che potrà produrre la digitalizzazione dei processi industriali.
Inoltre siamo convinti che, come tutti i cambiamenti epocali, non si tratterà di una semplice corsa all’accaparramento di nuove tecnologie (di fatto già esistenti in forma più o meno embrionale o già avanzata, in qualche caso), ma sarà necessario, prima ancora, gestire un cambiamento culturale nelle imprese e nelle istituzioni.
[1] Report pubblicato sul sito del MISE http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/Rapporto-MiSE-MetI40.pdf i dati riportati in questo capitolo sono estrapolati dal Report ufficiale del MISE
[2] ISTAT dato presente nell’archivio telematico dell’istituto (https://www.istat.it/it/archivio/pil)
[3] Notizia uscita il 15 febbraio 2019 pubblicata dalle agenzie REUTERS (https://it.reuters.com/article/topNews/idITKCN1Q42BQ-OITTP) e AGI (https://www.agi.it/economia/fitch_stime_pil_crescita_moodys-5008032/news/2019-02-15/)