- Il Pil italiano è atteso continuare a crescere sia nel 2022 (+2,8%) sia nel 2023 (+1,9%), seppur in rallentamento rispetto al 2021 (Prospetto 1).
- Nel biennio di previsione, l’aumento del Pil sarà determinato prevalentemente dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (rispettivamente +3,2 e +1,9 punti percentuali) mentre la domanda estera netta fornirebbe un apporto negativo nel 2022 (-0,4 punti percentuali) a cui seguirebbe un contributo nullo nel 2023. Le scorte fornirebbero un contributo nullo in entrambi gli anni.
- Gli investimenti assicureranno un deciso sostegno alla crescita con una intensità più sostenuta nell’anno corrente (+8,8%) rispetto al 2023 (+4,2%). I consumi delle famiglie residenti e delle ISP segneranno un miglioramento più contenuto (+2,3% e +1,6%).
- L’evoluzione dell’occupazione, misurata in termini di ULA, sarà in linea con il miglioramento dell’attività economica con un aumento più accentuato nel 2022 (+2,5%) rispetto al 2023 (+1,6%). Il progressivo incremento dell’occupazione è atteso riflettersi anche sul tasso di disoccupazione che scenderebbe sensibilmente quest’anno (8,4%) e, in misura più contenuta, nel 2023 (8,2%).
- Si prevede che la crescita dei prezzi dei beni energetici contribuisca a un deciso aumento del deflatore della spesa delle famiglie residenti nell’anno corrente (+5,8%), i cui effetti dovrebbero attenuarsi nel 2023 (+2,6%).
- Le prospettive per i prossimi mesi sono caratterizzate da elevati rischi al ribasso quali ulteriori incrementi nel sistema dei prezzi, una flessione del commercio internazionale e l’aumento dei tassi di interesse. Anche le aspettative di famiglie e imprese potrebbero subire un significativo peggioramento.
Prospetto 1. Previsioni per l’economia italiana – Pil e principali componenti
Anni 2020-2023, valori concatenati per le componenti di domanda; variazioni percentuali sull’anno precedente e punti percentuali
2020 | 2021 | 2022 | 2023 | |
Prodotto interno lordo | -9,0 | 6,6 | 2,8 | 1,9 |
Importazioni di beni e servizi fob | -12,1 | 14,2 | 8,5 | 3,8 |
Esportazioni di beni e servizi fob | -13,4 | 13,3 | 6,7 | 3,7 |
DOMANDA INTERNA INCLUSE LE SCORTE | -8,5 | 6,6 | 3,2 | 1,9 |
Spesa delle famiglie residenti e delle ISP | -10,6 | 5,2 | 2,3 | 1,6 |
Spesa delle AP | 0,5 | 0,6 | 0,5 | 0,6 |
Investimenti fissi lordi | -9,1 | 17,0 | 8,8 | 4,2 |
CONTRIBUTI ALLA CRESCITA DEL PIL | ||||
Domanda interna (al netto della variazione delle scorte) | -7,9 | 6,2 | 3,2 | 1,9 |
Domanda estera netta | -0,8 | 0,2 | -0,4 | 0,0 |
Variazione delle scorte | -0,5 | 0,2 | 0,0 | 0,0 |
Deflatore della spesa delle famiglie residenti | -0,2 | 1,7 | 5,8 | 2,6 |
Deflatore del prodotto interno lordo | 1,4 | 0,5 | 3,4 | 2,0 |
Retribuzioni lorde per unità di lavoro dipendente | 2,1 | 0,4 | 2,6 | 2,2 |
Unità di lavoro | -10,3 | 7,6 | 2,5 | 1,6 |
Tasso di disoccupazione | 9,2 | 9,3 | 8,4 | 8,2 |
Saldo della bilancia dei beni e servizi / Pil (%) | 3,7 | 2,4 | 0,6 | 0,1 |
Il quadro internazionale
Economia mondiale in rallentamento
Dopo un 2021 caratterizzato da un forte dinamismo, nei primi mesi di quest’anno l’attività economica ha mostrato una decelerazione diffusa tra i principali paesi. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha amplificato le criticità già esistenti: inflazione in accelerazione; ostacoli al funzionamento delle catene del valore; aumento della volatilità sui mercati finanziari; ulteriori rialzi dei prezzi delle materie prime energetiche e alimentari.
Queste criticità, cui si aggiunge il cambio di intonazione delle politiche monetarie annunciato e in alcuni paesi già implementato a inizio anno, hanno determinato un generalizzato peggioramento delle prospettive di breve e medio termine dell’economia internazionale. La Commissione europea ha rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil mondiale per il biennio 2022-2023 (rispettivamente +3,2% e +3,5%, Prospetto 2).
Il commercio internazionale di merci in volume, incrementatosi in media nel 2021 del 5,5%, nel primo trimestre del 2022 ha decisamente rallentato, crescendo dello 0,8% rispetto ai tre mesi precedenti.
Tra gennaio e marzo, l’economia cinese, frenata dalle nuove misure di lockdown, ha decelerato rispetto al trimestre precedente (+1,3% in termini congiunturali da +1,6%). Secondo le stime della Commissione Europea il paese, quest’anno e il prossimo, crescerà rispettivamente del 4,6% e del 5%.
Negli Stati Uniti, il Pil nei primi tre mesi del 2022 ha mostrato un’inaspettata flessione congiunturale (-0,4%). Si tratta del primo calo da circa due anni. L’andamento è stato condizionato dai contributi negativi delle esportazioni nette e delle scorte superiori all’apporto positivo della domanda interna.
Come atteso dai mercati, e nonostante l’acuirsi delle tensioni geopolitiche, a marzo e aprile la Federal Reserve, per la prima volta da dicembre 2018, ha alzato i tassi di interesse rispettivamente di 25 e 50 punti base, come misura di contrasto ai livelli elevati dell’inflazione. Il paese è atteso crescere quest’anno del 2,9%, in netta decelerazione rispetto al 2021, per poi rallentare ulteriormente al 2,3% nel 2023.
Prospetto 2. Principali variabili internazionali
Anni 2021-2023, livelli e variazioni percentuali sull’anno precedente
2021 | 2022 | 2023 | |
Prezzo del Brent (dollari a barile) | 70,4 | 101,4 | 101,4 |
Tasso di cambio dollaro/euro | 1,18 | 1,07 | 1,07 |
Commercio mondiale in volume* | 10,4 | 4,9 | 4,4 |
PRODOTTO INTERNO LORDO | |||
Mondo | 5,8 | 3,2 | 3,5 |
Paesi avanzati | 5,5 | 2,8 | 2,4 |
USA | 5,7 | 2,9 | 2,3 |
Giappone | 1,7 | 1,9 | 1,8 |
Area Euro | 5,4 | 2,7 | 2,3 |
Paesi emergenti e in via di sviluppo | 6,1 | 3,6 | 4,5 |
Cina | 8,1 | 4,6 | 5,0 |
Fonte: DG-ECFIN Spring Forecasts (2022) ed elaborazioni Istat
* Importazioni mondiali di beni e servizi in volume
Nell’area euro, nei primi tre mesi del 2022 il Pil è aumentato dello 0,3% in termini congiunturali, la stessa intensità del trimestre precedente. A livello nazionale, in Spagna, Germania e Italia il Pil è cresciuto rispettivamente dello 0,3%, dello 0,2% e dello 0,1% mentre in Francia si è mantenuto sui livelli dei tre mesi precedenti.
La fase di moderazione dell’attività economica sembra estendersi anche al secondo trimestre. L’indice composito ESI della Commissione europea, a maggio ha segnato un marginale miglioramento, mantenendosi sopra la media di lungo periodo. La Commissione europea prevede che il Pil dell’area euro aumenti del 2,7% quest’anno per poi rallentare al 2,3% nel 2023.
A livello nazionale, la Spagna dovrebbe crescere quest’anno del 4,0% (+3,4% nel 2023) seguita dalla Francia (+3,1% e +1,8%) e dalla Germania che dovrebbe mostrare una accelerazione dell’attività nel 2023 (+1,6% e +2,4%).
Lo scorso anno, il tasso di cambio si è attestato a 1,18 dollari per euro mentre per il 2022 si stima un progressivo deprezzamento dell’euro fino a 1,07 dollari che si manterrà, in base all’ipotesi tecnica sottostante la previsione, stabile nel 2023.
Nel 2021, la fase di ripresa dell’attività economica e il disequilibrio tra domanda e offerta hanno determinato un deciso aumento della quotazione del petrolio che in media è stata pari a 70,4 dollari al barile, in deciso rialzo rispetto al 2020 (43,4 dollari). Nei primi mesi del 2022 il prezzo del Brent è salito oltre i 100 dollari al barile. L’ipotesi tecnica implica il mantenimento di questo livello per il resto dell’anno e per il 2023.
Previsioni per l’economia italiana
La fase di ripresa del ciclo economico italiano è apparsa affievolirsi nel primo trimestre (+0,1% la variazione congiunturale). La domanda nazionale (al netto delle scorte), ha fornito un contributo positivo alla crescita (+0,4 punti percentuali) mentre quella estera netta, condizionata dal marcato aumento delle importazioni, ha fornito un apporto negativo (-0,3 punti percentuali).
Il miglioramento della domanda ha riflesso andamenti differenziati tra i comportamenti di famiglie e imprese che hanno manifestato, nel confronto con il trimestre precedente, una riduzione dei consumi (-0,8%) e un ulteriore aumento degli investimenti (+3,9%), trainati dal protrarsi del dinamismo di quelli in costruzione e da una ripresa degli investimenti in impianti, macchinari e armamenti
Anche dal lato dell’offerta sono emersi andamenti differenziati tra i settori. All’ulteriore miglioramento congiunturale del valore aggiunto delle costruzioni (+5,8%) si è associato un calo dell’attività dell’industria in senso stretto (-0,9%) e una sostanziale stabilità di quella dei servizi (-0,1%), sostenuta dal recupero delle attività professionali, ricerca e servizi di supporto e dalle attività immobiliari (rispettivamente +4,0% e +1,3%).
Le indagini sulla fiducia confermano l’eterogeneità tra la reazione di famiglie e imprese all’impatto della guerra (Figura 1 e 2). L’indice di fiducia dei consumatori ha segnato una caduta tra marzo e aprile, condizionata dal peggioramento dei giudizi sul clima corrente e futuro, a cui è seguita a maggio una contenuta ripresa.
L’andamento della fiducia delle imprese, la cui flessione è stata più moderata rispetto a quella dei consumatori, mostra significative differenze tra le attività. A maggio, nel settore delle costruzioni la fiducia è rimasta su livelli massimi mentre è diminuita quella delle imprese manifatturiere, evidenziando un ulteriore peggioramento dei giudizi sugli ordini, ed è tornata ad aumentare la fiducia nel settore dei servizi, prevalentemente tra le imprese del turismo e dei servizi di informazione e comunicazione.
Figura 1. PIL e CLIMA DI FIDUCIA DELLE IMPRESE (valori concatenati e indici, base 2010=100. Medie trimestrali, mesi di aprile e maggio 2022) | Figura 2. CONSUMI DELLE FAMIGLIE RESIDENTI e CLIMA DI FIDUCIA DEI CONSUMATORI (valori concatenati e indici, base 2010=100. Medie trimestrali, mesi di aprile e maggio 2022) | |
Fonte: Istat | Fonte: Istat |
La fase di ripresa degli investimenti e il mantenimento della fiducia delle imprese a un livello superiore alla media di lungo periodo si associano, tuttavia, a due elementi di forte criticità legati alla crescita dei prezzi dei beni energetici: il peggioramento del saldo della bilancia commerciale e l’accelerazione dell’inflazione. Nel primo trimestre il saldo della bilancia commerciale è risultato negativo per 7 miliardi anche se, considerato al netto dei beni energetici, ha segnato un avanzo di 14,9 miliardi (Figura 3).
A maggio, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento del 6,9% su base annua (da +6,0% del mese precedente) trainato sia dai listini dei beni energetici sia da una più ampia diffusione del fenomeno inflattivo (Figura 4).
Figura 3. SALDO BILANCIA COMMERCIALE (Miliardi di euro) Dati mensili, milioni di euro | Figura 4. INFLAZiONE AL CONSUMO IN ITALIA PER COMPONENTI * (Indice di prezzi al consumo per l’intera collettività, variazioni tendenziali)
| |
Fonte: Istat | Fonte: Istat (a) Calcolata al netto dell’energia, degli alimentari (incluse bevande alcoliche) e tabacchi | |
L’evoluzione di questi fattori nel breve e medio periodo è contraddistinta da un elevato grado di incertezza.
Assumendo il proseguimento delle tendenze in atto nei comportamenti di famiglie e imprese, nel 2022 il Pil in media segnerebbe un ulteriore miglioramento (+2,8%) trainato dalla domanda interna che, al netto delle scorte, contribuirebbe positivamente per 3,2 punti percentuali mentre la domanda estera netta fornirebbe un apporto negativo (-0,4 punti percentuali). Il contributo delle scorte è stimato pari a zero in entrambi gli anni. La fase espansiva dell’economia italiana è prevista estendersi anche al 2023, sebbene con una intensità più contenuta: il Pil aumenterebbe dell’1,9%, sostenuto interamente dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (1,9 punti percentuali) mentre la domanda estera netta fornirebbe un contributo nullo.
In questo scenario, nel 2023 si registrerebbe un azzeramento del saldo della bilancia commerciale.
Consumi in rallentamento
Nel primo trimestre del 2022, nei principali paesi europei la spesa per consumi finali è diminuita in termini congiunturali. In Spagna e Francia si sono registrati i cali più ampi (rispettivamente -2,3% e -0,9%), in Germania una sostanziale stabilizzazione (-0,1%).
Tra gennaio emarzo, in Italia i consumi finali hanno segnato una flessione congiunturale che estende la fase di moderazione avviatasi nel trimestre precedente (rispettivamente -0,6% T1 2022 e +0,1% T4 2021). In particolare, la spesa delle famiglie sul territorio economico ha evidenziato una particolare debolezza negli ultimi mesi (-0,9% in T1 e -0,4% in T4). Il peggioramento della spesa delle famiglie ha riflesso la riduzione degli acquisti per i servizi (-2,0% T1, -0,7% in T4) e per i beni non durevoli (-1,0% T1). Il miglioramento delle spese per beni durevoli e semidurevoli (rispettivamente +2,7% e +2,4%) ha determinato una attenuazione del calo dei consumi.
La fase di deciso peggioramento del clima di fiducia dei consumatori segnata a marzo e aprile ha mostrato una lieve attenuazione a maggio quando le attese di aumento dei prezzi si sono ridotte. La propensione al risparmio, ancora superiore ai livelli pre-crisi, potrebbe costituire un elemento di stimolo per i consumi nei prossimi mesi che, allo stesso tempo, risentirebbero negativamente dell’elevata inflazione. Per il 2022 si prevede un incremento dei consumi delle famiglie e delle ISP in termini reali (+2,3%) che si accompagnerebbe a un leggero aumento della propensione al consumo. Il miglioramento dei consumi è atteso proseguire anche nell’anno successivo seppure con una intensità più contenuta (+1,6%). Anche i consumi della PA sono attesi aumentare nell’orizzonte di previsione con una intensità simile (rispettivamente +0,5% e +0,6%).
Investimenti trainati dalle costruzioni
Nel 2021 gli investimenti italiani hanno segnato una forte accelerazione (+17,0%) superiore a quella di Francia (+11,6%), Spagna e Germania (rispettivamente +4,3% e +1,1%). La quota di investimenti sul Pil ha registrato un significativo incremento portandosi al 20,0%, un livello superiore a quello del 2019 (18,4%), ma ancora inferiore ai valori osservati in Francia (24,0%), Spagna (21,6%) e Germania (21,0%).
Il ciclo espansivo degli investimenti italiani è proseguito anche nei primi tre mesi del 2022 (+3,9% rispetto al trimestre precedente), sostenuto dall’ulteriore accelerazione del comparto delle costruzioni (+5,5%) e degli impianti, macchinari e armamenti (+4,3%).
Nei prossimi mesi i fattori a favore del proseguimento del ciclo favorevole degli investimenti, quali il sostegno al settore delle costruzioni e la realizzazione del piano di investimenti pubblici previsti dal PNRR, sono attesi bilanciare gli elementi negativi, quali il peggioramento della fiducia e delle attese di produzione da parte delle imprese e il possibile rialzo dei tassi di interesse.
Nel complesso, nel 2022 proseguirebbe il recupero degli investimenti (+8,8%) per poi rallentare nell’anno successivo (+4,2%). Nel 2023 il rapporto tra investimenti e Pil raggiungerebbe il 21,6%.
Bilancia commerciale in pareggio
Nel corso del 2021 gli scambi con l’estero dell’Italia, analogamente agli altri paesi europei, hanno mostrato un forte recupero dopo il crollo dell’anno precedente. Le esportazioni di beni e servizi, misurate a valori concatenati, sono aumentate complessivamente del 13,4%, un tasso lievemente superiore a quello osservato in media nell’area euro. Anche le importazioni hanno evidenziato un deciso rimbalzo (+14,3%).
Il recupero delle esportazioni di beni italiani è stato diffuso tra i settori e tra i paesi, con una maggiore dinamicità all’interno dell’Unione europea. La fase di ripresa del commercio estero italiano è proseguita anche nel primo trimestre dell’anno con una intensità più accentuata delle importazioni rispetto alle esportazioni (rispettivamente +4,3% e +3,5% in termini congiunturali). Le vendite all’estero hanno mostrato aumenti nei principali mercati di destinazione, in particolare verso la Germania, la Spagna, la Francia e gli Stati Uniti mentre i flussi diretti verso la Cina hanno manifestato una minore vivacità rispetto ai primi mesi del 2021, condizionati dalle misure di lockdown introdotte nel paese.
Il forte rialzo dei prezzi delle materie prime energetiche, avviatosi a partire dal secondo semestre dello scorso anno, ha determinato un deciso incremento dei flussi in valore delle importazioni con un conseguente deterioramento della bilancia commerciale italiana che, nel primo trimestre, ha segnato un deficit per il totale dei beni (-7 miliardi) e un miglioramento per il totale al netto dell’energia (14,9 miliardi).
In assenza di significative cadute del commercio internazionale, nel 2022 le importazioni aumenterebbero con una intensità superiore a quella delle esportazioni (rispettivamente +8,5% e +6,7%) mentre nell’anno successivo entrambi i flussi crescerebbero con una intensità simile (+3,8% e +3,7%). L’aumento della spesa per le importazioni di beni energetici causerebbe un progressivo deterioramento del saldo della bilancia commerciale, espresso in percentuale di Pil, che si ridurrebbe nell’anno corrente (+0,6%) per poi annullarsi l’anno successivo (+0,1%).
Miglioramenti sul mercato del lavoro
Nel primo trimestre sono proseguiti i miglioramenti del mercato del lavoro con un aumento sia delle unità di lavoro (ULA) per il totale dell’economia (+1,7% la variazione congiunturale) sia delle ore lavorate (+1,5%). La crescita delle ULA, diffusa tra i settori, è stata trainata dalle costruzioni (+5,0% la variazione congiunturale) e, in misura più contenuta, dall’industria in senso stretto (+1,5%) e dai servizi (+1,4%).
Ad aprile si è manifestata una sostanziale stabilizzazione del mercato del lavoro. Il tasso di occupazione è rimasto invariato rispetto al mese precedente mentre si è registrata una marginale riduzione del tasso di disoccupazione (-0,1 punti percentuali) associata a un aumento del tasso di inattività (+0,1 punti percentuali).
Le prospettive sull’occupazione evidenziano primi segnali di rallentamento. Nel primo trimestre il tasso di posti vacanti ha segnato una prima flessione nei servizi mentre è rimasto sui livelli massimi del periodo nell’industria.
Il proseguimento delle tendenze in atto determinerebbe nell’anno corrente una crescita delle ULA (+2,5%) che è attesa proseguire nel 2023 (+1,6%), in linea con l’evoluzione del Pil. Il tasso di disoccupazione segnerà un deciso miglioramento nel corso dell’anno (8,4%) per poi ridursi ulteriormente nel 2023 (8,2%).
Le previsioni delle retribuzioni per ULA dipendente incorporano una ipotesi conservativa sui rinnovi contrattuali, contabilizzando solo quelli già in vigore. In questo scenario si registrerebbe un aumento delle retribuzioni per ULA nel biennio di previsione (rispettivamente +2,6% e +2,2%).
Tuttavia è opportuno ricordare che a marzo 2022 la quota di dipendenti in attesa di rinnovo era pari al 55,4%. L’Istat ha diffuso oggi la nota sulle previsioni dell’indice IPCA al netto dei beni energetici importati, indicatore utilizzato come riferimento per i rinnovi contrattuali.
Sostenuti e diffusi aumenti dell’inflazione
Nei primi mesi del 2022, l’inflazione ha accelerato trainata dagli effetti dei rincari del petrolio, del gas naturale e delle materie prime agricole che hanno avuto impatto nelle diverse fasi del sistema dei prezzi.
Nel primo trimestre, l’incremento tendenziale dell’indice per l’intera collettività si è attestato al 5,7%, per poi segnare una accelerazione ad aprile (+6,0%) e maggio (+6,9%). L’evoluzione è stata caratterizzata dal contributo fortemente positivo delle voci energetiche (+42,2% a maggio da 45,2% del primo trimestre) sostenute sia dalla componente dei prezzi dei beni regolamentati, caratterizzata dagli adeguamenti trimestrali al rialzo delle tariffe di energia elettrica e gas, sia da quella dei beni non regolamentati.
A maggio è proseguita la diffusione dei rialzi dei prezzi nei diversi prodotti. I prezzi dei beni alimentari hanno mostrato un’ulteriore accelerazione tendenziale (+7,1%), a sintesi di aumenti significativi sia degli alimentari lavorati (+6,8%) sia dei beni alimentari non lavorati (+7,9%). Anche i listini dei servizi hanno evidenziato una accelerazione negli ultimi mesi (+3,1% a maggio) trainati dai prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona e dei trasporti.
Il rafforzamento e la diffusione della fase di crescita dei prezzi si è riflesso nelle misure dell’inflazione di fondo, sia nell’accezione che esclude energetici, alimentari e tabacchi (2,7% a maggio da 2,0% a aprile) sia in quella al netto dei soli beni energetici (3,7% a maggio da 2,9% a aprile).
L’andamento dell’inflazione italiana, misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo IPCA, rimane comunque meno accentuato rispetto a quello dell’area euro con un conseguente aumento del differenziale rispetto sia all’indice complessivo sia alla core inflation, (rispettivamente -0,7 e
-0,9 punti percentuali a maggio).
La crescita dell’inflazione è attesa proseguire nei prossimi mesi per poi attenuarsi, anche se con tempi e intensità ancora incerti. Nella media del 2022, il tasso di variazione del deflatore della spesa delle famiglie è previsto crescere (+5,8%, +1,7% nel 2021) mentre il deflatore del Pil segnerà un incremento più contenuto (+3,4%, +0,5% nel 2021).
Sotto l’ipotesi che le pressioni al rialzo dei prezzi delle materie prime siano contenute e in presenza di una stabilizzazione delle quotazioni del petrolio e del cambio, nel prossimo anno l’inflazione è attesa in parziale decelerazione. Nel 2023, il deflatore della spesa per consumi delle famiglie e quello del Pil sono previsti crescere rispettivamente del 2,6% e 2,0% in media d’anno.
Revisioni del precedente quadro previsivo
L’attuale scenario previsivo fornisce un aggiornamento delle stime per il 2022 diffuse lo scorso dicembre, elaborate prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
La revisione ha avuto un effetto principale, per l’anno corrente, sulle ipotesi per le esogene con un ridimensionamento del commercio mondiale (da +6,4% a +4,9%), un deprezzamento del tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro (da 1,18 a 1,04) e un rialzo delle quotazioni del petrolio (da 70,4 dollari al barile a 101,4).
L’insieme di questi aggiornamenti ha determinato per il 2022 una revisione al ribasso del Pil di circa 2 punti percentuali (da +4,7% a +2,8%) e della spesa delle famiglie residenti e ISP (-2,5 punti percentuali). La revisione delle esogene ha avuto un impatto significativo anche sulle stime di commercio estero dell’Italia, determinando un rialzo delle importazioni (+1,6 p.p) congiuntamente a una flessione delle esportazioni (-0.4 p.p.). L’incremento del prezzo del petrolio, infine, ha determinato una revisione al rialzo del deflatore della spesa delle famiglie e del Pil (rispettivamente +3,6 p.p. e +1,2 p.p.).
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Davide Zurlo (zurlo@istat.it) Servizio per l’analisi dei dati e la ricerca economica, sociale e ambientale tel. +39.06.4673 7236
| Fabio Bacchini (bacchini@istat.it) Servizio per l’analisi dei dati e la ricerca economica, sociale e ambientale tel. +39.366.6328738
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Per chiarimenti tecnici e metodologici
Il Modello Macroeconometrico dell’ISTAT
Nota Metodologica
Introduzione
Questa nota descrive le caratteristiche principali del modello di previsione economica sviluppato dall’Istat: Macro Econometric Model for Italy (MEMo-It)[1]. Il modello contiene 66 equazioni stocastiche e 91 identità contabili con frequenza annuale e fornisce una rappresentazione del sistema economico italiano mediante la specificazione di equazioni di comportamento per gli operatori del sistema economico (Famiglie, Imprese, Amministrazioni Pubbliche e Resto del mondo). Le serie storiche delle variabili utilizzate dal modello sono riferite al periodo 1970-2021. Laddove i dati delle serie non erano presenti si è proceduto a ricostruzioni ad hoc dei dati mancanti.
L’approccio teorico utilizzato nella costruzione del modello è di tipo neo-keynesiano. Nel modello, la dinamica della crescita economica nel breve periodo è trainata da fattori di domanda, mentre nel lungo periodo il sistema tende a condizioni di equilibrio rappresentate dal prodotto potenziale. L’interazione fra domanda e offerta aggregate avviene mediante il sistema dei prezzi che reagiscono a scostamenti del tasso di disoccupazione effettivo rispetto al tasso di disoccupazione naturale (NAIRU) e a squilibri fra prodotto effettivo e potenziale (output gap). Il modello si articola in blocchi, in cui è stata definita a priori la direzione di causalità nelle equazioni di comportamento e l’intelaiatura delle identità contabili.[2]
Le fasi di specificazione e stima del modello seguono tre momenti successivi: (a) analisi per singole equazioni o blocchi di esse delle proprietà di integrazione e cointegrazione delle variabili e valutazione dell’esogeneità debole per blocchi di variabili rilevanti; (b) stime uniequazionali a due stadi delle variabili del modello per dare conto di endogeneità e di errori di misura delle variabili esplicative; (c) unione delle singole equazioni e blocchi del modello con stima a tre stadi dei loro parametri per tenere conto della covarianza fra termini di disturbo appartenenti a diverse equazioni stocastiche.
Le proprietà dinamiche del modello sono valutate a livello di sistema mediante una sequenza prefissata di esercizi di shock ad alcune variabili esogene rispetto alla soluzione di base. Tali esercizi sono svolti mediante tecniche di simulazione deterministica e stocastica. Gli errori standard ottenuti nella fase di stima a tre stadi del modello completo generano la soluzione stocastica del modello che permette di quantificare l’incertezza della previsione.
Il modello nella sua versione attuale propone una descrizione aggregata del sistema economico. Le linee di ricerca per lo sviluppo del modello si concentreranno in futuro sia sulla esplicita rappresentazione del comportamento dei diversi settori economici, sia sulla estensione ai movimenti economici infrannuali.
Il resto di questa nota è organizzato come segue. Nel secondo paragrafo si descrivono le caratteristiche del blocco di offerta mentre il terzo e il quarto paragrafo, contengono la descrizione del sistema dei prezzi e del mercato del lavoro. Nel quinto paragrafo si illustra il blocco di domanda articolata per singoli operatori. Infine il sesto paragrafo è dedicato alla descrizione della banca dati del modello.
L’offerta
Il lato dell’offerta viene inserito nel modello facendo riferimento al “modello di Solow”, in base al quale gli stock di risorse produttive (capitale e lavoro) e il progresso tecnico costituiscono le determinanti principali della crescita economica. Ciò costituisce la base per la stima del livello di prodotto potenziale, definito come il livello di output sostenibile senza generare un aumento dell’inflazione.
Nel lungo periodo il sistema economico converge verso il sentiero di crescita potenziale, determinato esclusivamente dalle forze di offerta, mentre nel breve periodo fluttua intorno ad esso a causa di shock generati dalle forze di domanda. Tali fluttuazioni sono colte dagli scostamenti del prodotto effettivo (YEFF) dal suo livello potenziale (YPOT) sintetizzabili attraverso l’output gap definito dalla seguente espressione:
GAP = YEFF / YPOT – 1
Il divario tra produzione effettiva e potenziale è inversamente correlato al divario tra disoccupazione effettiva (UR) e disoccupazione strutturale (NAIRU) in base alla seguente relazione (Okun, 1962):
GAP = -b (UR – NAIRU)
Gli squilibri tra disoccupazione effettiva e strutturale e tra prodotto effettivo e potenziale generano a loro volta variazioni nei prezzi tali da riequilibrare il sistema.
Nel modello il prodotto potenziale è misurato seguendo l’approccio della funzione di produzione, in analogia a quanto suggerito dalla Commissione Europea (si veda D’Auria et al., 2010).[3] L’ipotesi principale è che l’offerta potenziale dell’economia possa essere rappresentata da una funzione di produzione di tipo Cobb-Douglas. In termini formali:
YPOT = fPOT (K, LP, HTFP)
dove LP rappresenta l’input di lavoro potenziale, K lo stock di capitale e HTFP è la componente di trend[4] della produttività totale dei fattori (residuo di Solow). L’input di lavoro potenziale viene ottenuto depurando l’occupazione effettiva dalla componente ciclica. Lo stock di capitale potenziale K è ottenuto con il metodo dell’inventario permanente (Goldsmith, 1951). L’assunzione principale è che lo stock di capitale potenziale coincide con quello effettivo nell’ipotesi che esso rappresenti l’utilizzo di pieno impiego dei beni capitali.
Prezzi e salari
Il meccanismo di formazione di prezzi e salari spinge la domanda effettiva in beni e servizi e l’occupazione ad aggiustarsi rispettivamente al livello di offerta (prodotto potenziale) e all’occupazione potenziale, definita a sua volta dall’interazione fra NAIRU e una combinazione di tasso di partecipazione alle forze di lavoro e dinamica demografica della popolazione in età da lavoro.
Utilizzando la stilizzazione del “triangolo” proposta da Gordon (1981, 1988), sia la variabile prezzo di riferimento del sistema economico (pivot), sia i redditi da lavoro dipendente pro capite risentono di tre effetti principali: (1) la persistenza, misurata dalla loro dinamica negli anni precedenti; (2) gli shock di domanda, misurati dall’output gap e dall’eccesso del livello effettivo di disoccupazione rispetto al NAIRU; (3) altri shock di rilievo, nel contesto economico italiano come quelli derivanti dai i prezzi all’importazione, da shock di produttività del lavoro e da tensioni sul mercato del lavoro nelle fasi di rinnovo contrattuale.
Il deflatore del valore aggiunto al costo dei fattori (PV) è il prezzo pivot del modello:
dlogPV = fPV (dlogPV-1 , GAP, WB/YU)
dove dlogPV-1 misura l’inerzia, GAP misura gli shock di domanda, WB/YU (costo reale del lavoro per unità di prodotto ottenuto dal rapporto fra redditi da lavoro dipendente e PIL a prezzi correnti) misura shock di produttività e costo del lavoro. L’equazione per PV può anche essere interpretata come una curva di Phillips neokeynesiana (NKPC, Galì e Gertler, 1999) in cui si ipotizza che le aspettative sono backward-looking.[5]
La crescita del salario nominale è spiegata dal deflatore dei consumi delle famiglie nell’anno precedente (che implica aspettative di inflazione backward-looking), dal tasso di disoccupazione, dalla produttività del lavoro e da una variabile che misura le tensioni sul mercato del lavoro nelle fasi di rinnovo contrattuale.[6]
Il deflatore delle importazioni è determinato dall’indice di prezzo in dollari dei manufatti sui mercati internazionali, dalle quotazioni in dollari del Brent e dal tasso di cambio nominale del dollaro rispetto all’euro.[7] A questi fattori si unisce una componente di persistenza misurata dal tasso di inflazione del deflatore delle importazioni nell’anno precedente.
I deflatori delle componenti della domanda dipendono da queste variabili e dalle aliquote effettive medie di imposizione indiretta distinte per: imposta sul valore aggiunto, altre imposte indirette e contributi alla produzione.
Il mercato del lavoro
Il blocco del mercato del lavoro è rappresentato attraverso tre gruppi di equazioni che definiscono rispettivamente la domanda di lavoro, l’offerta di lavoro e i salari. La specificazione della domanda di lavoro deriva direttamente dalla funzione di produzione (Hamermesh 1996 e 1999). In tale contesto, nell’ipotesi di concorrenza perfetta in cui il fattore lavoro è remunerato in base al prodotto marginale, si deriva l’equazione della domanda di lavoro che dipende positivamente dall’output e negativamente dal salario reale. Di conseguenza la domanda del settore privato (LDP), espressa in termini di unità di lavoro standard (ULA), è definita dalla seguente espressione:
dove Y è il valore aggiunto a prezzi correnti, PY è il deflatore del PIL, WB rappresenta l’ammontare dei redditi da lavoro dipendente a prezzi correnti al lordo dei contributi sociali, LDD definisce le unità di lavoro dipendenti espresse in funzione della capacità produttiva, PV il deflatore del valore aggiunto al costo dei fattori.
L’input di lavoro del settore pubblico ( ) è esogeno. Ne segue che il totale dell’input di lavoro (LD) utilizzato nel processo produttivo è costituito da:
L’equilibrio del mercato del lavoro si ottiene attraverso l’interazione tra domanda e offerta. Nel modello si tiene conto dei fattori demografici e della relazione tra fluttuazioni del ciclo economico e dei tassi di partecipazione (Lucas e Rapping, 1969) utilizzando la variabile forza di lavoro nella definizione della funzione di offerta.
L’offerta di lavoro è definita in termini di tassi di partecipazione disaggregati per genere (i = F, M). Più precisamente il tasso di partecipazione (PARTi) è specificato nel modo seguente:
dove POPi è la popolazione dai 15 ai 64 anni distinta per genere, WIPC/PCH sono le retribuzioni pro capite reali (PCH è il deflatore dei consumi privati), EMPRi è il tasso di occupazione, che fornisce una misura sintetica delle condizioni del mercato del lavoro (Bodo e Visco 1987). Le due misure del lavoro utilizzate nel modello, le unità di lavoro standard e l’occupazione residente sono rese coerenti mediante una equazione di raccordo. Combinando le informazioni sull’occupazione residente e le forze di lavoro (funzione di offerta) si deriva come identità il tasso di disoccupazione.
La domanda
Il lato della domanda del modello fa riferimento al comportamento degli operatori economici: Famiglie, Imprese, Amministrazioni Pubbliche e Resto del mondo. Le Famiglie spendono per consumi e investimenti residenziali ed accumulano ricchezza reale e finanziaria; le imprese acquistano tutte le altre tipologie di beni di investimento (macchine ed attrezzature, e altro); la spesa delle Amministrazioni Pubbliche influenza direttamente la domanda finale attraverso i consumi e gli investimenti pubblici; il Resto del mondo determina la componente estera della domanda data dalle esportazioni al netto delle importazioni.
Le Famiglie
L’approccio teorico alla determinazione del consumo delle famiglie si riconduce alla teoria del reddito permanente (Friedman, 1957). Un approccio simile per l’Italia è stato seguito, tra gli altri, in Rossi e Visco (1995) e, più recentemente, in Bassanetti e Zollino (2008). Il consumo a prezzi costanti ( ) risulta quindi funzione del reddito disponibile, della ricchezza (reale e finanziaria) e del tasso di interesse:
dove è il reddito disponibile a prezzi correnti, e sono rispettivamente le ricchezze finanziaria e reale anch’esse espresse a prezzi correnti, è il deflatore dei consumi e è il tasso di interesse nominale a lungo termine.
La parte di reddito disponibile non consumata va ad alimentare l’accumulazione della ricchezza reale, mentre la quota di reddito disponibile non allocata in consumi e investimenti residenziali ( ), contribuisce all’accrescimento dello stock di ricchezza finanziaria. I due stock di ricchezza, valutati ai prezzi di mercato, sono modellati seguendo una specificazione coerente con l’approccio dell’inventario permanente (Goldsmith, 1951). Le equazioni per gli investimenti residenziali, la ricchezza reale e finanziaria sono rispettivamente:
dove è il deflatore degli investimenti residenziali e è l’indice azionario che lega la dinamica della ricchezza finanziaria, oltre che al reddito risparmiato e non investito in beni reali, ai guadagni/perdite in conto capitale dei titoli mobiliari.
Il reddito disponibile è ottenuto, come identità, dalla somma di diverse componenti riferite al settore istituzionale delle famiglie, in particolare:
dove è il margine operativo lordo, è il totale delle retribuzioni al netto di quelle provenienti dal resto del mondo, sono i redditi da interessi e dividendi, sono le prestazioni sociali nette, altri trasferimenti, i contributi sociali netti e, infine, le imposte dirette versate.
Le Imprese
Le imprese partecipano alla realtà economica stilizzata dal modello realizzando investimenti in macchine e attrezzature e altri beni produttivi che, espressi come quota sul prodotto potenziale, sono caratterizzati da un fattore di persistenza, dal costo d’uso del capitale, dal risultato lordo di gestione (inteso come una misura di sintesi di profitti e autofinanziamento) e dal grado di incertezza (misurato dalla volatilità condizionale dei disturbi del ciclo economico).
Il costo d’uso misura il prezzo di servizi produttivi generati da un bene capitale. Si ipotizza che esso sia funzione del costo di finanziamento (o il costo opportunità di rinunciare ad un investimento alternativo nel caso di autofinanziamento), del deprezzamento economico che il bene capitale subisce nel periodo di utilizzo e dei guadagni o le perdite in conto capitale dovuti ad aumenti/diminuzioni del prezzo d’acquisto del bene.
Le Amministrazioni Pubbliche
La descrizione del settore pubblico all’interno del modello MEMo-It segue un approccio di tipo istituzionale, caratterizzato da identità e relazioni algebriche che riproducono in modo stilizzato le regole contabili (SEC95) e le normative che definiscono gli andamenti dei principali aggregati del conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche (AP).
Le relazioni dirette tra AP ed il resto del sistema economico si esplicano attraverso gli effetti sulla domanda totale esercitati dalla spesa per consumi finali delle AP, dagli investimenti pubblici e dai redditi erogati dal settore pubblico. Le AP agiscono anche sui prezzi (mediante le aliquote delle imposte indirette nette), sul costo del lavoro unitario (mediante le aliquote dei contributi sociali), sul reddito disponibile (mediante prelievo fiscale diretto ed i trasferimenti).
Le uscite totali delle AP sono disaggregate in spesa per consumi finali, contributi alla produzione, interessi passivi, investimenti fissi lordi, contributi agli investimenti e una variabile residuale esogena che raccoglie le rimanenti voci di spesa del conto delle AP. L’aggregato della spesa per consumi finali è dato dalla somma di due componenti: la spesa diretta e i redditi da lavoro dipendente, questi ultimi ottenuti dalla retribuzione media pro-capite riferita al settore pubblico e stimata nel blocco relativo al mercato del lavoro e dal numero dei dipendenti pubblici.
La spesa diretta in volume e il numero di dipendenti sono considerate esogene e costituiscono variabili strumento della politica fiscale. Gli investimenti pubblici sono considerati esogeni in termini reali ed il relativo deflatore è ottenuto nel blocco relativo alla formazione dei prezzi. Le prestazioni sociali in termini nominali, infine, sono collegate alla struttura per età della popolazione e a un indicatore di prezzo. I contributi alla produzione ed i contributi agli investimenti sono legati rispettivamente al valore aggiunto ed agli investimenti del settore privato mediante un coefficiente che esprime la percentuale di contribuzione al settore privato.
Le entrate totali sono disaggregate in contributi sociali, imposte indirette, imposte dirette ed una voce residuale esogena. I contributi sociali sono calcolati come somma dei contributi pagati dai datori di lavoro, quelli a carico dei lavoratori dipendenti e quelli versati dai lavoratori autonomi. Alla base di calcolo si applicano specifiche aliquote media effettive.
Le imposte indirette sono date dalla somma dei gettiti derivanti dall’Imposta sul valore aggiunto (IVA), dall’Imposta sulle attività produttive (IRAP) e dalle accise sugli oli minerali e derivati, cui si aggiunge una voce residuale esogena. Anche in questo caso si definiscono appropriate aliquote medie effettive che il modello considera esogene. Il gettito dell’imposta sugli oli minerali e derivati viene calcolato mediante due equazioni: nella prima si quantifica l’intensità energetica del prodotto interno lordo (in funzione di persistenza e del prezzo in euro del barile); nella seconda si calcola il gettito moltiplicando un’aliquota media effettiva (esogena) per il consumo energetico.
A partire da aliquote medie effettive esogene, le imposte dirette vengono calcolate come somma dei gettiti derivanti dall’Imposta sul reddito delle persone fisiche, dall’Imposta sul reddito delle società, dall’imposta sostitutiva sugli interessi e su altri redditi da capitale, e da una voce residuale esogena. Infine, l’imposta sostitutiva sugli interessi e sugli altri redditi da capitale è stimata in funzione del relativo gettito dell’anno precedente, del prodotto, della variazione dei tassi di interesse e delle nuove attività finanziarie, approssimate dal risparmio delle famiglie.
Il saldo del conto economico delle AP è ottenuto dalla differenza tra entrate totali e uscite totali. Lo stock del debito pubblico è calcolato sottraendo dalla consistenza dell’anno precedente il saldo del conto economico delle AP ed aggiungendo una variabile di aggiustamento, esogena, per tener conto di tutti quei fattori che incidono direttamente sul debito senza influenzare il saldo del conto economico (operazioni finanziarie, modifiche di valore degli strumenti finanziari, privatizzazioni, ecc.). Gli interessi passivi sono calcolati moltiplicando il costo medio alla consistenza del debito. Il costo medio del debito pubblico è stimato in funzione di tassi di interesse a breve e a lungo termine.
Il settore estero
La specificazione del blocco estero si basa sull’identità contabile che definisce il saldo delle transazioni con il resto del mondo:
dove rappresenta il saldo della bilancia commerciale in valore (XO e MO sono le esportazioni e le importazioni in quantità PX e PM i rispettivi prezzi); sono i redditi da lavoro netti dall’estero; sono le imposte indirette nette; sono i redditi netti da capitale; sono le imposte correnti sul reddito sul patrimonio; sono le prestazioni sociali; sono gli altri trasferimenti.[8]
L’approccio teorico alla determinazione del saldo con il resto del mondo adottato nel modello fa riferimento alla letteratura più recente (Lane e Milesi-Ferretti, 2011; Obstfeld e Rogoff, 2010). In particolare, l’equazione delle importazioni di beni e servizi in volume ha la seguente specificazione:
dove è la domanda interna in termini reali, è il deflatore delle importazioni e misura gli effetti delle fluttuazioni cicliche di breve periodo.
L’equazione delle esportazioni in volume è espressa come segue:
dove WDXXTR rappresenta il valore delle esportazioni mondiali e ITXRXER il tasso di cambio reale effettivo.
I redditi da capitale netti (che includono principalmente utili e dividendi) sono derivati attraverso la seguente funzione:
dove è il saldo del conto delle Amministrazioni Pubbliche. L’introduzione di tale variabile è giustificata dal fatto che un miglioramento del saldo delle AP è atteso ridurre il premio al rischio (Lane e Milesi-Ferretti, 2011; Caporale e Williams, 2002) e per questa via migliorare il saldo dei redditi da capitale (principalmente attraverso una riduzione della componente di interessi).
Infine, l’equazione degli altri trasferimenti (che accorpano il saldo dei trasferimenti pubblici e privati sia in conto corrente sia in conto capitale) è data da:
dove approssima la quota di export italiano, che si ipotizza abbia una relazione inversa con i trasferimenti in entrata.
Le serie storiche utilizzate per la stima del modello e il trattamento delle variabili esogene
Il modello è sviluppato a partire da un input di 142 serie storiche di base a frequenza annuale riferite ad un periodo temporale che va dal 1970 al 2021. Il processo di stima del modello genera in tutto 222 variabili, di cui 157 endogene (66 stocastiche e 91 identità) e 65 esogene (di cui 9 di scenario).
Un’ampia parte delle variabili di input sono di fonte contabilità nazionale che, a settembre 2019, ha rilasciato le stime relative alla revisione generale dei Conti Economici Nazionali, concordata in sede europea a cinque anni dal passaggio al SEC 2010 e che ha introdotto innovazioni e miglioramenti di metodi e di fonti.
Ai fini della stima delle relazioni del modello è stata realizzata una ricostruzione dal 1970 al 1995. L’operazione è stata resa agevole dalla contenuta dimensione del modello che, nella versione attuale, non include una disaggregazione per settori economici. La ricostruzione è stata realizzata tenendo conto delle informazioni contenute nelle serie storiche riferite alla precedente classificazione delle attività economiche, dedicando particolare attenzione alla ricostruzione dei valori concatenati per le variabili del quadro macroeconomico. Nel complesso, l’operazione ha permesso di riportare al 1970 gli aggregati della nuova contabilità nazionale utilizzati dal modello per finalità di specificazione e stima.
Le previsioni sono state realizzate utilizzando per le variabili demografiche gli scenari previsivi disponibili su demo.istat.it e per le variabili di finanza pubblica le ipotesi contenute all’interno del Documento di Economia e Finanza (DEF) 2022.
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[1] Il modello di previsione è stato sviluppato da un gruppo di ricerca dell’Istat con il coordinamento scientifico del Prof. Roberto Golinelli ordinario di econometria presso l’Università di Bologna, Dipartimento di Scienze Economiche.
[2] I presupposti metodologici del modello muovono nel solco del tradizionale approccio della Cowles Commisison for Research in Economics (Klein, 1950; Fair, 2004) integrato con i fondamentali lavori di Dickey e Fuller (1979), Engle e Granger (1987), Sims, Stock e Watson (1990) e Johansen (1995) in tema di stima e inferenza con serie storiche potenzialmente generate da processi stocastici integrati e cointegrati; di Hsiao (1997a e 1997b) sulle proprietà degli stimatori con variabili strumentali nel contesto di processi stocastici non stazionari; di Hendry, Pagan e Sargan (1984), e Pesaran et al. (2001) sull’importanza della specificazione dinamica delle equazioni del modello.
[3] Si veda anche De Masi (1997), Denis et al. (2006), e Giorno et al. (1995).
[4] Le componenti di trend delle variabili utilizzate sono ottenute con il filtro di Hodrick e Prescott (1997).
[5] Per un confronto fra modello del triangolo e NKPC si veda Gordon (2011).
[6] L’equazione per il salario è ispirata dal lavoro di Phillips (1958), la cui specificazione è qui modificata per tenere conto del tasso di inflazione; per una discussione si veda Golinelli (1998).
[7] Prima dell’introduzione dell’euro è il cambio di riferimento è quello tra dollaro e lira.
[8] Il riferimento per la compilazione dei conti del Resto del mondo da parte dell’Istat è costituito dalla Bilancia dei pagamenti elaborata dalla Banca d’Italia in base ai concetti e alle definizioni fissate nel V Manuale del Fondo Monetario Internazionale. Per un maggiore dettaglio si veda Istat (2005), parte seconda, capitolo 3.